SERIOUS BLACK: Suite 226
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31/01/2020Torna sul mercato discografico dopo oltre due anni dalla pubblicazione di 'Magic' il combo guidato da Mario Lochert e dal frontman Urban Breed. Ancora una volta viene scelta la formula del concept in cui il tema della magia e della stregoneria lascia il passo a quello riguardante la psiche umana, dove il protagonista, ricoverato nella cella 226 (altro che suite...), è alle prese con una serie di turbe mentali convinto di vivere in una sorta di feudalesimo dorato, in un castello in mezzo a cortigiane, donne e vino, in una continua lotta tra realtà e fiction. Se i primi due album di questa multinazionale tedesco-svedese ci avevano deliziato in virtù dell'alta qualità del songwriting pur non essendo dei fuoriclasse (forse fatta eccezione per Urban) il precedente lavoro nonostante mantenesse sempre un certo valore mostrava un po' il fiato corto, ma stavolta grazie anche a brani più concisi (ad esclusione della finale title track) viene recuperato quell'approccio diretto che ha fatto la fortuna di 'As Daylights Break' nonchè 'Mirrorworld'. Se "Let It Go" apre le danze in maniera assai arrembante con un guitar riff vigoroso replicata dal singolo "When the Stars are Right" aggraziata dalla voce suadente di Urban i refrain acquisiscono maggior respiro in "Solitude Etude" e "Castiel" a fronte di strofe anche piuttosto oscure. Le punte di eccellenza le riscontriamo quando il power metal si combina con l'hard rock ottantiano, ecco quindi che incontriamo gemme come "Fate Of All Humanity" e "Way Back Home". Da non sottovalutare l'operato delle tastiere, preciso, puntuale e mai invadente che arricchisce di raffinatezza un po' tutte le dieci tracce e che si percepisce in modo particolare nello speed melodico "We Still Stand Tall". "Come Home" è l'immancabile ballad ricca di sentimento, ma tutt'altro che melensa che Urban valorizza grazie anche a quel pizzico di follia che lo contraddistingue. Chiude il tutto la lunga title track che non colpisce più di tanto ma che non tira giù la valutazione media di 'Suite 226', molto alta e di poco inferiore a quel piccolo capolavoro a nome 'Mirrorworld'.
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