STEFANO CERATI: Black Sabbath, Masters of Reality

L’intento di Stefano Cerati, giornalista e scrittore milanese, è dare profondità all’heavy metal, alle sue connessioni con la letteratura, il cinema e al dialogo proficuo tra musica e paure, esplorando i sentimenti che da sempre legano la natura umana con il suo lato più oscuro. Lo fa analizzando i testi delle canzoni dell’era Ozzy (1969-1978), cercandone una esatta traduzione, ed un conseguente risvolto nella composizione dal punto di vista musicale. Di ogni traccia analizzata ne riporta il testo originale, la traduzione in italiano e aneddoti sulla composizione. Un capitolo per album. Questa edizione ampliata e aggiornata del 2023 (la prima risale al 2012) include l’analisi di ‘13’, e ‘The End’ ed un capitolo sulle bonus track. Emerge la figura di Geezer Butler come la giovane mente compositiva che voleva smuovere le coscienze sui temi peculiari trattati principalmente dalla band, e dall’approccio sempre interrogativo (tante domande e poche risposte, senza mai prendere posizione). Emerge l’ingegno e l’estro creativo di Tony Iommi a trasformare le tematiche in composizioni dai suoni plumbei, dall’attitudine progressiva, e a cambiarne spesso la sorte attraverso il linguaggio del jazz (tanto amato da Butler), spezzandone la tensione oscura con dinamici fraseggi acustici e strumentali. Emerge lo spirito ludico e giocoso di Ozzy e la sua difficoltà a memorizzare testi troppo lunghi. Ed emerge la personalità più mite e gentile del gruppo, Bill Ward, dalla spiccata naturalezza, quando nell’intervista riportata nel libro afferma che “nulla si crea, e che tutto deriva da ciò che c’era prima. I Black Sabbath sono cresciuti con la musica degli anni ‘60”. I quattro ragazzi di Aston esordiscono con l’intento di spaventare gli ascoltatori, sono giovani ed istintivi, e come la gran parte della gioventù, in una fase della loro vita, si appassionano di horror (film, poesie e racconti). Per dare voce a questo gioco elettrizzante si affidano a volumi altissimi del suono, chitarra distorta, dalla bassa accordatura, batteria velocissima ed una voce spettrale, che quasi sembra provenire dall’oltretomba. Il risultato è talmente centrato che gli stessi quattro musicisti, turbati dalle reazioni che hanno scatenato, si trovano costretti ad indossare crocifissi per allontanare energie negative (c’è una bella differenza tra parlare del diavolo ed adorarlo, come accentua Cerati). Questo libro non è solo una traduzione. Per ogni canzone è data un’interpretazione dei mezzi espressivi che la band utilizzava per esprimere i propri concetti. Per me è un ulteriore occasione per addentrarmi nella storia dei Black Sabbath. Il mio intento è stato quello di trovare nuovi agganci al mondo del jazz (l’autore cita Gene Krupa & His Orchestra). Ma ritorniamo alla loro essenza, perché in fondo i Black Sabbath sono quattro ragazzi di strada che si trovano scaraventati in un mondo che in realtà richiede impegno e disciplina. Manco loro avrebbero scommesso su loro stessi. Hanno inventato un genere che prima non esisteva. Quindi potresti iniziare la lettura del libro pensando di leggere brevi racconti horror, per poi scoprirne i riscontri luminosi. E potresti riascoltare tutta la discografia dei primi otto album, pensando che ti stai avvicinando al jazz; a mio giudizio a Thelonious Monk, agli arpeggi di Kenny Burrell ed a Coltrane: ma queste sono solo sfumature! In fondo la musica di Monk traeva linfa da fattori negativi e diventava stimolo per innovare il suo stesso linguaggio jazzistico: in ciò trovava la forza per confrontarsi con il mondo in modo autonomo e creativo.