LABYRINTH: In The Vanishing Echoes Of Goodbye
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29/01/2025Quando un gruppo riesce a creare un capolavoro quale 'Return To Heaven Denied' firma, inconsapevolmente, una sorta di condanna per l'eternità... nei secoli dei secoli, infatti, qualsiasi altro disco prodotto a nome Labyrinth sarà inesorabilmente destinato a confrontarsi con un tale manifesto del power-prog di fine millennio scorso. Questo ingombrante termine di paragone ha portato spesso a fornire giudizi sommari (e di base errati) su lavori di indubbia qualità, fra cui non sfigurano certo neanche gli ultimi 2 dischi usciti sotto l'egida della Frontiers. Forse proprio per provare ad uscire da questa gabbia che li vorrebbe ripetere all'infinito lo stesso, fortunato, copione che li ha resi celebri quasi 30 anni or sono, la band italiana ha sentito il bisogno di spaziare sempre più libera dalle formule e dai confini stilistici di uno specifico genere musicale, ponendosi l’obiettivo di raggiungere la totale libertà e, di conseguenza, di esprimersi pienamente. Questa voglia di emancipazione artistica, unita alla triste consapevolezza di vivere tempi sempre più bui, ci consegna questo gran bel prodotto, a titolo "In The Vanishing Echoes Of Goodbye", l'album più pesante, veloce e arrabbiato mai scritto fino ad oggi ma comunque capace di mantenere inalterato quel loro tipico tocco melodico/malinconico. La soddisfazione per il risultato finale trapela da tutti i pori dei componenti della formazione tricolore, andando a certificare che il timore di non essere all'altezza del proprio glorioso passato sia ormai un lontano ricordo. Non sorpende, allora, il ritrovare schemi già codificati in 'Return...' a partire da una scaletta che in certi momenti sembra quasi ricalcarne i momenti salienti (pezzi veloci, mid tempo, ballate ordinate pressoché in modo speculare) manifestando una sicurezza totale nei propri mezzi. Ecco, quindi, che in apertura troviamo la veloce, dura ed estremamente melodica "Welcome twilight", come terza traccia viene proposta la più atmosferica e riflessiva "Out Of Place" e come penultima canzone troviamo la sontuosa e struggente ballad "To The Son I Never Had", portatrice di un gran bel testo, intimo e profondo. Difficile non pensare a "Moonlight", "The Night Of Dreams" e "Falling Rain", perfettamente incasellate nello stesso ordine sull'opera maestra del 1998. Ogni singolo brano, con tutto ciò, splende di luce propria, aggiungendo costantemente qualcosa di diverso, in modo da comporre un mosaico tanto affascinante quanto complesso; le corse forsennate di "Accept The Changes" alternate a break sincopati in cui fa capolino la vena prog dei Labyrinth, le arie melodiche e radiofoniche di "The Right Side Of This World" con reminiscenze a là Vision Divine, le armonie nostalgiche di "The Healing" o l'incedere saldo di "Mass Distraction", fino alle sfuriate metalliche di "At The Rainbow's End" e "Heading For Nowhere". Tutto funziona a meraviglia in un meccanismo ben oliato dalla perizia tecnica di ogni musicista, il songwriting è di altissimo livelo, come sempre, e la produzione restituisce un suono pazzesco. Niente sembra mancare per rinverdire i fasti dei bei tempi andati, ogni tassello pare al posto giusto per raccogliere i frutti di quanto seminato; i Labyrinth, insomma, hanno fatto tutto quel che potevano per consegnarci un altro grande archetipo di power-prog metal. Adesso sta al pubblico tributare loro quel successo che da sempre meriterebbero.
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