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WALTER TROUT

Difficile rispondere ad una domanda la cui risposta (sai già) ti lascerà in un territorio incondiviso, senza partecipazione: “Ma chi vai a vedere?”. Walter Trout. “E chi è?”. Uno della vecchia guardia, ha 73 anni e suona dal 1968. Chitarrista, cantante e compositore. Ha suonato con John Mayall & The Bluesbreakers (la risposta facile). Ha una carriera da solista, dal 1989 ad oggi, con un ultimo album ‘Broken’ che esprime la sua salute musicale in un blues attuale, al limite della soglia tra malinconia e speranza, e che si è guadagnato un posto nella mia top ten dell’anno. Caschetto, jeans, t-shirt, un viso super comunicativo ed un’espressività frenetica (il mio primo ricordo). In veste live: strizzava gli occhi, la sua bocca si imposessava del wah wah della sei corde, gambe e piedi sempre in movimento e fra le mani un oggetto scottante (per l’alta temperatura), intanto alzava un piede, poi l’altro, tirava un calcio in avanti ed uno indietro. Questa è l’immagine di Walter Trout, di cui mi sono appassionata (da un vecchio concerto con Mayall). Wilmont Mews, il nome della sua prima band (lui, chitarra e voce); si esibiva nel New Jersey, una formazione da otto che si rifaceva a gruppi come Blood-Sweat And Tears e Chicago, e di spalla agli Steel Mill, una delle prime band di Bruce Springsteen. All’inizio della sua carriera si ispirava alla chitarra di Mike Bloomfield (The Paul Butterfield Blues Band) per fuoco ed espressività. Nel tempo, proprio con la sua discografia da solista (venti in studio), ha elaborato una sua espressività dal carattere inconfondibile, un blues lacerato e ricostruito da composizioni melodiche grintose.

Dai college del New Jersey all’auditorium della scuola primaria di Chiari, e nel mezzo una vita intensa di collaborazioni stratosferiche. Evento organizzato dalla radio web locale A.D.M.R. Posti a sedere 300. Pareti bianche addobbate con disegni eseguiti da bambini. Purtroppo nessuna traccia di caffè e di birra. A stemperare l’attesa il cantautore e chitarrista folk Thom Chacon in un duetto, accompagnato da Paolo Ercoli, chitarra resofonica “locale” (ottimo lavoro del fonico di sala). Posto improbabile, ma dall’acustica curatissima. Poi arriva Trout con la sua band e la sua Fender Stratocaster. Una miccia ancora esplosiva il settantatreenne: apre con un solo di chitarra (“I Can Tell” fu una scelta già rivoluzionaria nel suo album ‘Telling Stories’, 1994). E ci risiamo! Jeans, t-shirt, ma attaccatura dei capelli molto alta, profilo di pancia sporgente e gilet. Mi alza il piedino (ed io sorrido). Il suo microfono non funziona, e lui si sposta sul microfono del bassista (tempestivo l’intervento dello staff audio). Ora tutto può avere inizio con una delle tracce dell’ultimo album, “Courage In The Dark”. Il blues non è solo un profumo di cui puoi percepire note di testa, di cuore, note di fondo. Il blues è una ferita dai lembi labili, a volte dai punti riassorbibili, cicatrizzata, a volte dalla riapertura spontanea: è ciò che ho percepito in questa esperienza live (che è andata oltre le mie aspettative). Walter Trout in alcuni fraseggi lascia andare libera la chitarra a tracolla, alza le braccia e le punta sul cuore, si spoglia della veste da musicista, e con fronte corrucciata e voce grossa (nera), canta. Si riveste da chitarrista e fa partire una potente “Wanna Dance” (‘Ordinary Madness’, 2020), in cui splendono i tasti di Roland Bakker. Trout ogni tanto oscilla le due gambette con timidi movimenti, e scarica tensione con grida. Traccia piuttosto recente, ma evocativa del suo New Jersey. Una scaletta che non approvo pienamente, ma che comunque attraversa la sua carriera. Diversi i momenti dove manifesta profonda riconoscenza. Uno in particolare dedicato al suo padre musicale John Mayall con la traccia “Say Goodbye To The Blues” (‘Prisoner Of A Dream’, 1991), dove ripete l’efficace “doppia veste”, e regala un tocco sulle corde dal potere silenzioso; il suono si attenua e tra le corde e le dita sembra quasi prevalere il silenzio. Uno dei momenti più emozionanti della serata.

Il territorio dell’auditorium diventa un terreno condivisibile per la grande capacità di Trout di risvegliare gli animi (anche di spettatori occasionali presenti all’evento, ma non necessariamente suoi fan). Nei pezzi come “Ride” emerge gioia americana (‘Ride’, 2022). Dallo stesso album estrapola la ballad “Follow You Back Home”. Esperienza al servizio delle canzoni nel boogie di “Bleed” (‘Broken’, 2024). Poi Trout in una performance da vecchio bluesman si arma di armonica. Con “We’re All In This Together” presenta e duetta con il giovane musicista impacciato della band, Breth Smith Daniels. “Red Sun” dall’album ‘Survivor Blues’ (2019). La temperatura della sala si scalda con i soli dei membri della Walter Trout Band Tour 2024, ma è con “Going Down” che il pubblico (incoraggiato dal bassista John Avila), si alza dalle poltrone e si avvicina al palco per un ringraziamento generale. Un “bonus vita” ci ha permesso di godere di questa esperienza.

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