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QUEENSRYCHE: TRIBE

data

19/08/2003
74


Genere: Power Prog
Etichetta: Sanctuary
Anno: 2003

Sono tristemente passati gli anni d'oro del metal ottantiano, amaramente affondato dal fenomeno grunge di inizio anni '90…un fenomeno nato e sviluppatosi a Seattle, patria dei grandi Queensryche che nulla avevano a che fare col grunge stesso. Coinvolta anch'essa dal ciclone di Cobain & Co, la band di Seattle produsse il suo ultimo grande album, "Empire", che spopolò in tutto il mondo…poi fu la fine! Certo, "Empire" era molto diverso dal suo predecessore, il perfetto "Operation: Mindcrime", proponendosi con sonorità più raffinate, ma di certo maggiormente commerciali. Col senno di poi, mi viene, quindi, da considerare proprio l'album del 1990, come quello che ha segnato il graduale declino della band del "regime delle regine". Passato il periodo duro per certe sonorità metal, i 'Ryche si riproposero con il bellissimo e raffinatissimo "Promised Land" carico di pathos, feeling e sonorità meravigliosamente da sogno…ma quella musica era troppo matura per i tempi in cui veniva proposta, così l'album divenne un caposaldo solo per pochi! Il declino definitivo si ebbe con il successivo disco del 1997, un concentrato di sconcerie prelevate direttamente dalle sonorità, ormai morte e sepolte, del grunge seattleiano. Dopo l'anonimo "Q2K" ed altri 4 anni di silenzio, ecco quindi i Queensryche ritornare sulle scene musicali di tutto il mondo, con questo "Tribe". Che dire! Io amo letteralmente i Queensryche, ma vedo nella loro musica i limiti di talune idee "cieche"…non ci sono più i Queensryche di una volta, quelli di "Prophecy", di "Before The Storm", di "Revolution Calling", di "The Mission", di "Suite Sister Mary", quelli più raffinati di "Jet City Woman", di "Della Brown", di "Out Of Mind" e quelli delle struggenti ed intelligenti ballate "I Will Remember", "Silent Lucidity", "Someone Else?"…ascoltando questo "Tribe", sento, fortunatamente, riemergere alcune sonorità dei vecchi tempi, ma c'è ancora qualcosa che non mi convince. Non sono affatto un nostalgico dei tempi che furono (cioè, lo sono, ma ho anche una mente così aperta, che sembra esserci passata un'astronave in mezzo!), ma mi rendo conto che in questa nuova prova da studio dei 5 di Seattle, oltre alla volontà di riappropriarsi dei suoni del loro passato (ritrovare le proprie origini è senz'altro un bene), c'è anche un'affannosa ricerca di nuove idee, che però non mi pare di notare. Ad un iniziale "Open", grezza ma poco convincente, fa seguito una serie di brani più di rilievo, in cui emergono le nuove direzioni musicali intraprese dalla band in questo 2003. Tra queste, come detto, c'è un ritorno al passato con brani come "Desert Dance" (con ritmi che ricordano l'industrial ed una voce, a tratti, vicina al Nu Metal) e "Under My Skin" (cupa, pesante, lenta, con le linee vocali, a tratti, effettate e dall'incedere drammatico) che sembrano essere l'evoluzione di alcune sonorità di "Operation: Mindcrime". Altro filone seguito dai 'Ryche di oggi è quello dei pezzi lenti e ragionati…in questa categoria troviamo brani come la semi-ballad "Falling Behind" (piacevole nel suo incedere semi-acustico) e la riflessiva "Rhyme Of Hope" (ballad impegnata che non raggiunge i fasti di "Silent Lucidity", ma che presenta un bel finale in crescendo). Oltre ai due estremi poc'anzi descritti, l'album presenta anche, alcuni brani con una certa impronta commerciale anni '80…è il caso di "Losing Myself", che esclusi i riff maggiormente pesanti, assume una conformazione beat, tipica di quegli anni sino ad arrivare a ricordare qualcosa degli U2. Simile nell'impostazione è anche "Blood" che, con il suo ritmo ossessivo, si presenta come un brano serrato, più rock commerciale 80s che metal. Tra tutti i brani del disco, però, a mio parere, a parte la bella e tipica 'Ryche-song "Great Divide" (lenta, potente ed in crescendo, con un'ottima interpretazione vocale e strumentale), la traccia che merita un plauso particolare è la titletrack. "Tribe" è un brano complesso ed articolato di difficile assimilazione; esso presenta vari momenti musicali, in cui i singoli strumenti (voce compresa) dipingono scenari ed atmosfere differenti…nel suono pesante, grezzo e, soprattutto, psichedelico del brano, si distinguono per particolarità, la batteria, che sembra realmente "tribale" e la chitarra, autrice di assoli tipici delle sonorità metal '80s. Mi sembra, quindi, che la direzione da prendere nel futuro della band, sia propria quella tracciata da quest'ultimo brano, "Tribe", un vero esempio di 'Ryche-prog. Nel marasma di proposte sonore presenti in "Tribe", non poteva mancare uno sguardo al mercato più easy…così il disco viene chiuso da una "Doing Fine" che non sfigurerebbe affatto in un album di Bon Jovi o degli Aerosmith e che ricorda molto quanto proposto da Chris Robinson, nella ultima fatica solista o con i suoi Black Crowes! A livello tecnico, beh, la tecnica non è affatto un problema per i 'Ryche, non lo è mai stato e non lo è neanche in "Tribe"…con DeGarmo o con Gray (il temporaneo suo sostituto negli ultimi 10 anni), la musica del gruppo dello stato di Washington è sempre sopraffina, perfetta e ricca di preziose sfumature. Cosa si può dire, in conclusione? Certamente questo non sarà il disco della nuova consacrazione dei Queensryche, anche se la volontà del gruppo era proprio indirizzata verso tale obiettivo. Il ritorno del figliol prodigo Chris DeGarmo, non ha portato indietro le lancette di 15 anni, anche se la sua mano torna a farsi sentire in modo netto. Quello che manca, mi pare sia una nuova identità, delle idee coerenti…in "Tribe" questo si nota: troppa disomogeneità tra i pezzi, mitigata, forse, solo dall'esperienza, dal mestiere e dal marchio di fabbrica dei talentuosi musicisti che compongono il gruppo.

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