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NECRODEATH: 100% HELL

data

19/04/2006
79


Genere: Thrash
Etichetta: Scarlet Records
Anno: 2006

A distanza di tre anni dall’ottimo “Ton(e)s Of Hate” (album che continuo a considerare il migliore dei Necrodeath post-reunion insieme a “Mater Of All Evil”) tornano i thrasher liguri che stanno ormai vivendo una meritatissima ‘seconda giovinezza’ raccogliendo finalmente tutto ciò che avevano seminato e atteso invano nei lontani ’80. “100% Hell” vede una piccola rivoluzione di line-up che è ormai tale già da un paio d’anni, ovvero la defezione dello storico axeman Claudio, per cui non ho mai nascosto la mia ammirazione, e l’ingresso di Pier Gonella dei Labyrinth. A tal proposito, finora dal vivo il posto è stato occupato da Andy, presente anche nelle foto promozionali del platter, ma la biografia non è chiarissima nel dire chi dei due abbia suonato sul disco. Tolto ciò, il sound Necrodeath è rimasto sostanzialmente e fortunatamente quello che tutti amiamo. Un thrash metal apocalittico, veloce e incalzato da un riffing che non ha perso un’oncia di potenza e dalla malvagia ugola di Flegias, finalmente lontano dallo squittio cui ci aveva abituato agli inizi e più vicino ad una timbrica roca e maggiormente adatta alle tiratissime sonorità del quartetto. L’album si apre alla grande con una doppietta di tutto rispetto: “Forever Slaves” (introdotta da un breve passaggio di spoken vocals effettuato da Cronos dei Venom) e “War Paint” alternano con sapienza velocissime sfuriate a parti più ragionate, introducendo anche una piccola ‘novità’: è finalmente possibile sentire delle parti soliste di chitarra, poco virtuose o invasive ma efficaci e ben dosate. “100% Hell” è un disco che si difende bene per tutta la sua durata anche se c’è da dire che i colpi a vuoto non mancano; “Master Of Morphine”, “Theoretical And Artificial”, “”Beautiful Brutal” World” e “The Wave” sono episodi che dicono poco o nulla; convincenti invece “Identity Crisis”, brano decisamente sperimentale ricco di tastiere ipnotiche, melodia e voci femminili, e la conclusiva title-track, otto minuti che ricordano i migliori episodi di “Bloodstain Pattern”, anch’essa posta in coda a “Ton(e)s Of Hate”. La bilancia come prevedibile pende dalla parte della promozione piena. Un disco che non tocca gli apici della produzione di immediata precedenza, ma che sa dare soddisfazioni in quantità più che generose.

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