ANCIENT RITES: FATHERLAND
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05/10/2003Il terzo lavoro targato Ancient Rites è, contemporaneamente, la prova della loro grandezza e la pietra dello scandalo. Clean vocals, un gusto melodico prima insospettabile, tastiere in abbondanza, feeling epico e pagano, persino momenti acustici e folk… C'era insomma tanta carne al fuoco per le solite polemiche da "blecster cativo e necroelitario" (cit.), polemiche che come sempre non sono sopravvissute alla grandezza di un disco come questo Fatherland, una vera e propria sorpresa che ancora oggi, cinque anni dopo, risulta fresco e appetitoso come appena uscito, grazie a una ricetta personalissima e a tutt'oggi unica. L'opener graziosamente sinfonica, "Avondland", apre le danze per quello che sarà il primo di una lunga serie di inni che gli Ancient Rites forgeranno in questo e nel prossimo disco: "Mother Europe", destinata a diventare un vero e proprio cavallo di battaglia, carica di un incredibile epos e di un feeling antico rinforzato da fantastiche citazioni folk, oltre che da un testo che tributa la giusta gloria all'invidiabile storia del nostro continente, omaggiando tutti i popoli europei in maniera quasi commovente. Da subito si nota come in "Fatherland" gli interessi storici del leader Gunther Theys si facciano sempre più strada tra le tematiche, fino a monopolizzare l'intero disco, inserendo, di riflesso, tutta una serie di melodie d'altri tempi a fianco di riff sempre battaglieri e aggressivi come non mai, con una poderosa batteria a supportare il tutto senza dimenticare i blastbeat di vecchia memoria. La ricetta proposta è quindi un death/black melodico e sinfonico, in cui fondamentale è il ruolo delle tastiere, dei riff e della poliedrica voce di Gunther, che passa con nonchalance da uno screaming perverso e incantatore a una feroce impostazione bellica, a esplosive clean vocals che possono rimandare persino al ben più quotato Ihsahn. Lo spettro del black metal emerge soprattutto nel guitarstyle aggressivo e incazzoso, che rimane comunque molto vario e thrashy nelle soluzioni compatte e accattivanti. Le tastiere smorzano il tutto dando il tocco "antico" che necessitava questa magnifica opera-tributo alla Storia. Giustamente, il feeling dominante è un'epicità molto particolare e "altalenante" che sa quando essere pomposa e quando nascondersi astutamente dietro un muro di suono devastante, o in cupi rallentamenti monumentali. Proseguendo l'ascolto, ci troviamo sempre a bocca aperta davanti a un'alternanza di mood incessante e che non fa mai economia di emozioni intensissime, dalla ferocia bellica di "Aris", all'accorato epos di "Dying in a Moment of Splendour", alla compassata ma cupissima "misantropia storica" di "Rise and Fall"… e soprattutto lo splendore dell'autentico simbolo degli Ancient Rites, quella "Fatherland" il cui testo celebra la bellezza delle native Fiandre con passionale amore, e la cui musica ci trascina in tempi perduti attraverso una fenomenale alternanza di fantasmatici e dolci rallentamenti ed epicissime sferzate d'acciaio. Dopo il tuffo eighties di "The Seducer" (vecchissimo brano dei 'Rites qui reinterpretato con Mika Luttinen degli Impaled Nazarene a duettare con Gunther), l'introspettiva e decadente "Cain", breve ballad sussurrata da un Gunther inquietante come non mai, chiude il sipario di un disco che è in tutto e per tutto sorprendente e coloratissimo come l'Europa che vuole omaggiare, grazie alla sorprendente varietà compositiva, e anche alla coraggiosa scelta tematica (affrontata con competenza che molti storicini dell'ultim'ora dovrebero solo invidiare), che credo dovrebbe smuovere l'animo di ogni metallaro sul sacro suolo europeo.
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