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METAL BRICOLAGE: Le migliori one man band attuali

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Le one man band mi hanno sempre affascinato sotto molti aspetti. C'è la forza di volonta del singolo che riesce a combattere la penuria di musicisti in una determinata zona, oppure la sua testardaggine nel non voler condividere le sue idee con altri reputati magari di livello inferiore, o ancora una visione etica della propria missione musicale che va oltre l'ideale di gruppo, o anche la convinzione di avere una capacità di creazione dalla grandezza sconfinata. Certo, poi la realtà non è sempre corrispondente a questo quadro mitico e ci si scontra con dei caproni dilettanti, emeriti presuntuosi, bulimici che tirano fuori album a ripetizione senza essere minimamente consapevoli dei propri limiti. Eppure è esaltante sapere che capolavori come quelli di Burzum, Mare Cognitum e Panopticon, per esempio, sono stati forgiati dalle capacità di una sola persona. Nella ricerca di lavori del genere è naturale imbattersi in cazzatelle, che qui però eviterò di citare perché la vita è troppo breve per ascoltare musica insipida.

Se uno dice "il mio progetto si chiama Nordland", il 90% di chi recepisce queste parole andrà ad accendere idealmente un cero sotto la figura di Quorthon, che di dischi chiamati così ne ha fatti due. Ed è strano constatare che invece tra i quattro album scritti da tale Vorh, il suo 'Nordland' del 2012 è anche il meno prossimo al Bathory-sound. Al contrario, con gli anni e l'esperienza, l'ottimo musicista inglese, se inizialmente mostrava un personale spaccato di black tradizionale e pagan metal, oggi ha definitivamente spiccato il volo. Lo scream si è trasformato diventando più espressivo ed epico, così come il tessuto musicale: e non poteva essere altrimenti perché 'European Paganism' (Satanath Records) è il manifesto di una one man band evoluta, fiera del proprio appassionato amore verso questo metal tanto battagliero quanto suscettibile di cadere nel ridicolo per un dettaglio sbagliato. Cosa che fortunatamente non avviene perché il sound molto chitarristico e tecnicamente ineccepibile sembra fondere in modo compiuto e non banale Bathory e gli Enslaved più ariosi, un'esaltazione magistrale che regge per tutti i ventisette minuti del brano iniziale. Il resto, come reazione alla grandeur del brano iniziale, è roccioso, semplice, pulito black a metà tra Satyricon e altri Enslaved, quelli più chiusi e criptici dei primi anni Duemila, all'incirca. Non violenza, ma ragionate architetture pagane.

Incarna più da vicino lo stereotipo burzumiano del blackster più intransigente tale Kvolkaldur, ragazzone ventisettenne della Crimea. Partito sotto il moniker Ildverden, ha composto quattro album, di cui gli ultimi due in lingua ucraina. Qualche problemuccio con la batteria ingessata tipica di certo black metal fai da te, ma quello del 2015 era assai caruccio. Molto corposo, dalle venature pagane anche questo e tradizionalmente opprimente, in verità. L'anno scorso esce fuori invece con un altra linea di pubblicazioni e dà in pasto a noi coprofagi 'La Nausee' a nome While They Sleep (nulla a che vedere con i While She Sleeps, ecco). Concettualmente è sulla via di Lovecraft, Kafka e Sartre, come si capisce dal nome dell'album, musicalmente è una versione più dinamica dei Gorgoroth, con accenti atmosferici e depressivi. Ora è il turno di 'Les Fleurs Du Mal' (Symbol of Domination) che si basano su poesie di Baudelaire tratte proprio dalla sua raccolta 'I Fiori Del Male'. Un album molto diverso dal suo predecessore, tranne per la voce in scream sempre filtrata che mi ricorda quella di Shagrath. Se in passato (insomma, l'anno scorso) era una tempesta di classici riff da far congelare il sangue, ora Kvolkaldur cambia effetto sulla sua pedaliera e imbastisce canzoni meno immediate, molto più dissonanti, gracchianti, assolutamente ed orgogliosamente lo-fi. La batteria però è più naturale che in 'La Nausee', negli stacchi emergeva troppa macchinosità ora scomparsa. Dategli tempo perché merita, la prima impressione di leggero fastidio è dovuta alla scelta del particolare suono di chitarra. Se filasse tutti liscio, senza urtare la sensibilità, musicale o morale, di qualcuno, non sarebbe black metal.

Per Nikolay Seredov il bivio era tra il metal o il nulla. Cos'altro poteva fare un ragazzo siberiano sui vent'anni? Spararsi nelle palle per la noia? Suonare è stata la sua via di fuga, prima col gruppo thrash metal Stakhanovite, poi da solo col progetto Funeral Tears, con cui ha esordito nel 2010, infine con un polistrumentista ha dato voce -un urlo disperatamente lancinante- ai Taiga, con un album all'anno nel triennio 2014/2015/2016. L'ultimo 'Sky' mostrava irrequietezza nel voler andare un po' oltre il black metal depressivo. Di recente è uscito il terzo disco a nome Funeral Tears, che -dando una scorsa al resto del suo curriculum- è anche la sua espressione creativa migliore. 'Beyond the Horizon' (Satanath Records) ha molte meno tastiere dei suoi fratelli maggiori e oserei anche dire meno lento di loro in molti passaggi. Lavoro egregio sulle sei corde, mai così valorizzate nella loro utilità molto variabile ("I Suffocate"), così come il cantanto, sempre più moribondo. In realtà, nonostante si possa pensare che la musica è una sorta di terapia, credo che Nikolay si senta ancora decisamente solo e desolato visto che passa i suoi giorni tra funeral doom e depressive black, ma finché pubblica dischi strazianti come questi non vorrei mai fargli cambiare abitudini. Non sarebbe la stessa cosa se un giorno diventasse un giocherellone e mettesse in piedi un progetto happy metal, ecco.

Pronti a fare il giro del mondo? Gli Opus Diaboli (nulla a che vedere con quegli scarsoni dei Corpus Diaboli) erano un gruppo di Montevideo, Uruguay, attivo da una decina d'anni. Parlo al passato perché Lord Wolf Alexander l'ha fatto diventare un progetto in solitaria e -stando a Metal Archives e ai post su Facebook- lui si è oramai stabilito in Messico. 'Black Lights of Destruction' (Satanath Records), unico lavoro di cui c'è traccia online, è classico black metal e potrebbe sembrare noiosissimo già da questo, ma la realtà è un'altra. Tante melodie di diversa estrazione, dal pagan di ispirazione Graveland ad altre più depressive, si accompagnano a un cantato molto vario, spesso acutissimo e disperato. Per fare qualche riferimento geografico, si può dire che c'è più di qualcosa del black finlandese assieme a qualcosa di più tipicamente norvegese in alcuni passaggi più diretti. Le canzoni sono tutti diverse l'una dall'altra e si fanno ascoltare con molto gusto, grazie ad arrangiamenti semplici e sempre di qualità, per cui si rimane piacevolmente sorpresi dalla scorrevolezza e dall'interesse sempre ben alimentato. Si vede che l'aria messicana fa bene al black metal, visto che anche gli Evilforces hanno appena pubblicato un bell'album.

Impressionante produttività e precisione. D'altronde è svizzero. Un luogo comune molto abusato descrive la carriera di Bornyhake, che però deve essere integrato dalla necessaria menzione dell'altissimo livello delle sue opere, che limitandomi ai full length sono sei a nome Borgne, altrettanti come Enoid e col nuovo 'J'Aurais Du' (Symbol of Domination) arrivamo a quattro col progetto Pure. Il tutto in poco più di dieci anni. La cosa spaventosa è che a parte un paio di dischi con una produzione abbastanza opinabile mi trovo sempre in balia di questo tizio, quasi ogni anno. Micidiale. Pure è come dice il nome. Etereo? Sognante? No, raw black metal. Puro appunto. Senza l'evoluzione di Borgne, certo, ma con un animo incorruttibile. 'J'Aurais Du' non vuol dire "ce l'avevo duro", care piccole teste vuote, ma "avrei dovuto". I testi sono carichissimi di pessimismo, tutti in francese e esprimono perfettamente la natura dell'opera. La voce è molto più definita del precedente 'Art of Loosing One's Own Life', è la batteria ad aver fatto un passetto indietro nel mix, ma la vera novità è che nel grezzume generale sembra -sembra, dico- che sia stato fatto addirittura un mastering degno di questo nome rispetto al passato. Ultimamente roba così radicale mi è capitata tra le mani da Ende, Forgjord e Eyelids, pur con tutte le distinzioni. Aggiungiamo anche 'J'aurais Du' alla lista della spesa: se pensate di trovare lo spirito black metal della seconda ondata non dovete fare altro che partire da qui.

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