DOKKEN: Under Lock And Key
Sono stati incisi tanti grandi dischi, innumerevoli top album, lavori che indiscutibilmente hanno fatto la storia e/o influenzato le generazioni successive che hanno ricevuto entusiastiche, ma quanto classiche recensioni. Considerato che si tratta dei "biggest records", (biggest perchè "grande" in tutti i sensi), abbiamo pensato bene di dare loro la giusta visibilità e la dovuta dimensione con speciali che provano a scavare in fondo fin dentro le viscere dei contenuti degli album.
Nel bel mezzo degli Eighties una foltissima schiera di band e personaggi residenti negli States si faceva strada all’interno del panorama del rock duro grazie ad una formula sia musicale, sia prettamente incentrata sul look prese in prestito dal glam-rock dei ’70. Capelli cotonati, lipstick e mascara facevano da riflesso alla musica, rock’n’roll sprezzante e provocatorio. Motley Crue, Ratt e svariati altri act, generalmente nati e cresciuti in California, storicamente Los Angeles lo snodo cruciale della scena, tra quelli più in voga, si imponevano all’attenzione dei rocker e dell'opinione pubblica (arcinote le mire censorie di certi personaggi o associazioni, prima tra tutte la “Parent Music Resouce Center”, meglio conosciuta con la sigla abbreviata PMRC, volta a proteggere i ragazzi da liriche ritenute offensive ed oscene. Ogni commento in merito sarebbe sprecato). Chi da questi standard seppur incredibili, fondamentali ed irripetibili seppe distaccarsi furono i Dokken. Band che cavalcò la scena nella sua fase iniziale soprattutto in fatto di look, ma che riuscì a distaccarsene del tutto grazie al talento strumentale non comune dei quattro componenti della band, nonché grazie ad un gusto per gli arrangiamenti sempre più personale e ricercato. Don Dokken e Gorge Lynch, ugola inconfondibile il primo ed estroso axe man il secondo sono gli artefici dell’apice artistico della band che vedeva comunque come parte attiva, soprattutto nella stesura dei pezzi, il duo ritmico Jeff Pilson e Mick Brown, rispettivamente basso e batteria. 'Under Lock And Key' si pone un passo in avanti rispetto al precedente seppur encomiabile album 'Tooth and Nail', più raffinato e con un songwriting che si allontana completamente dal filone hard-street volto sovente all’impatto piuttosto che alla sostanza, badando essenzialmente più alla forma canzone ed alle sfumature. Ragione per cui molti fanno partire da questo disco quel filone che per anni è stato etichettato come class-metal. A testimonianza di questo assunto corre subito in soccorso l’opener ed ormai leggendaria “Unchain The Night”, un ricamo sonoro dal fascino vellutato e cupo in cui Lynch (grande tessitore ed assolo) e Don (eccellente modello espressivo) conferiscono al brano un incedere melodico enigmatico ed accattivante allo stesso tempo. La storia si ripete in “In My Dreams” ed in “It’s Not Love”, con ancora l’estro del duo Lynch-Dokken (particolarmente il primo il quale sforna ancora una volta un grandissimo assolo) in evidenza, mentre diventa furiosa in “Lightining Strikes Again”, altra hit dal design sgargiante che sbotta a fiumi classe ed elettricità, per poi farsi delicata e carezzevole nella ballad “Slippin Away”. Motivi che rendono l'album un disco fondamentale per ogni rocker che si rispetti. Prodotto da Neil Kernon e Michael Wagener, guru della consolle in quel periodo storico ed in quel preciso contesto, 'Under Lock And Key' rispecchia in maniera ambivalente e fedelmente lo spirito degli '80, a metà strada tra lo chic rock ed il party rock. La strofettenza e l'eleganza in un mix letale che probabilmente non ha più avuto eguali.
P 1985 Elektra Records
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