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YAK: IRON FLAVOURED CANDIES

data

08/06/2008
60


Genere: Crossover
Etichetta: Otorecords/Aural Music
Anno: 2008

I nuovi alfieri del post-metal si stanno facendo furbi. Qualche anno fa era l'era del nu metal e del crossover che spopolavano, poi naturalmente tutto si inflazionò. Poi venne l'era del metal core, durata ancora meno, ancora più inflazionata, in ancor meno tempo. Per l'area del metal "alternativo" diventa sempre più difficile trovare un proprio territorio vergine, ma di recente la scena sta di nuovo prendendo coscienza di se, e allora vengono fuori gruppi come i milanesi Yak, che sono più vicini ai Casino Royale (un must per chi intende avvicinarsi alla musica italiana, è bene ricordarlo) che a qualsiasi altra cosa che sappia di metal, e lo fa con una ostentata sicurezza e fierezza, e questa cosa mi piace molto, più delle canzoni in se, che sono pezzi studiati nei minimi particolari, suonati altrettanto da Dio, e con una professionalità invidiabile, ma che lasciano ancora molto spazio al miglioramento (magari sulla strada della personalità e con minori concessioni melodiche, che in fin dei conti sono l'unico problema concreto del disco). Canzoni che sono delle caramelline abbellite e addolcite da tutti gli educoloranti che servono a fare della loro costruzione fondamentalmente grezza e spigolosa (vedi "G3M2"), qualcosa di (apparentemente) digeribile, che poi si traduce in una serie di colpi mortali per chi non è abituato alla schizofrenia Dillinger Escape Plan (in "G3M2" parzialmente ripresi nella loro essenza più intimamente casinara e in parte approfonditi sul versante più synth, assolutamente indispensabile). Invece, per la gente abituata a certe infiltrazioni assolutamente non ortodosse nel tessuto (post)hardcore-noise più violento e anarchico possibile, quest'album sarà uno spunto divertente, o magari un assaggio per un futuro tutto da verificare, sul quale ci sarà ancora da lavorare, magari evitando di insistere sulle sbandate a la SOAD in salsa dub e trip hop di "Y.A.K." (che ogni tanto mi sembra citare gli One Minute Silence); e costruendo più pezzi misteriosi e angusti come "Insects Eat Your Car" (cattiva, geniale) ritmicamente interessante per le trovate deliziose e tutt'altro che tecnicistiche, e quegli inserti elettronici che fanno la differenza (mai superflui) o le fughe di trombone. Più pretenziosa ma ugualmente intrigante "Snuff In Copacabana", così prosaica e (piacevolmente) inascoltabile, dai mille volti, di cui almeno un paio possono essere presi e clonati per approfondire la cosa, evitando magari i filler la prossima volta, perchè non deve esserci bisogno di skippare per godere delle squadrature freddissime di "Rebus (1,2,3,4,5)", che conferma la creatività e le grosse capacità della band, ma anche il fatto che, almeno per ora, trova difficile affrancarsi dallo scream poco curato a la 'Calculating Infinity' (che rovinava per piattezza anche 'Calculating Infinity') e soprattutto trova quasi impossibile dare un senso di chiusura-completezza alle digressioni strumentali (talvolta molto affascinanti, ma purtroppo sempre appese li, come personaggi in cerca d'autore). La cosa meno riuscita sono i pezzi più "melodici", che è meglio saltare e ignorare, colpa anche in parte la pronuncia dell'inglese e la produzione per niente consona all'arduo compito di resuscitare i SOAD (arduo e poco conveniente) o i Sikth, che forse sarebbero il modello ideale per la crescita degli Yak. L'unico problema è che esistono già.

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