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THE GRAVIATORS: EVIL DEEDS

data

23/08/2012
75


Genere: Doom Rock
Etichetta: Napalm Records
Distro:
Anno: 2012

Che i paesi scandinavi fossero amanti di certe sonorità hard rock/doom era cosa ben nota, e dal canto loro gli svedesi The Graviators sembrano non fare sicuramente eccezione, presentandosi al grande pubblico con questo 'Evil Deeds', secondo atto discografico di una produzione che ribadisce (in modo sincero) l'amore di questi quattro musicisti per certo hard rock d'annata tipicamente anglosassone. Il loro stile, quindi, non è particolarmente originale ed innovativo, ripescando a piene mani da sonorità sabbathiane, e da atmosfere tipiche di gruppi come Witchfinder General e Witchcraft (con i quali c'e una certa somiglianza soprattutto nella voce), mostrando un approccio stilistico e concettuale decisamente anacronistico dove, tuttavia, i musicisti coinvolti riescono a tirare fuori degli arrangiamenti piuttosto gradevoli. L'inizio del disco è già indicativo da questo punto di vista, e difatti "Soulstealer" sembra davvero riportarci indietro di almeno quarant'anni, con riff e assoli di chitarra che riprendono molto sfacciatamente certe atmosfere sabbathiane (all'interno delle quali, però, i musicisti si dimostrano piuttosto puntuali e precisi dal punto di vista tecnico), riscontrabili anche nella successiva "Evil Deeds", macchiata in piccola parte da un refrain ripetitivo e poco riuscito. Se i ritmi inizialmente rimangono piuttosto sostenuti, con le successive "Morning Star" e "The Great Deception" i musicisti spingono sull'accelleratore costruendo riff efficaci e diretti, sostenuti a loro volta da assoli ben congeniati e di sicuro impatto, mostrando tra l'altro tutta la bontà tecnica del chitarrista Martin Fairbanks. Le restanti tracce appaiono molto omogenee e senza particolari variazioni stilistiche (forse il difetto più evidente di questo disco), anche se di tanto in tanto il gruppo prova a diversificare maggiormente il proprio sound di origine, e da questo punto di vista "Presence" (a nostro avviso il brano migliore del disco) è senz'altro encomiabile per la sua alternanza ritmica e atmosferica, cesellato da un finale molto suggestivo ed epico ad opera della chitarra del solito Fairbanks (il musicista più dotato del quartetto). Dopo due brani discreti, ma che non aggiungono nulla al disco, come "A Different Moon" e "Forlorn" (nel quale però è da segnalare uno squisito e delicato bridge centrale ad opera della chitarra), il gruppo prova nuovamente a costruire un brano più articolato e vario dei precedenti, riuscendo però parzialmente nell'intento. Difatti la finale "The Infidel", nonostante sia un brano decisamente ben suonato, nei suoi otto minuti abbondanti risulta particolarmente macchinosa nello svolgimento, sciorinando una buona quantità di variazioni ritmiche che, però, potevano essere sintetizzate meglio.

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