KOMATSU: Rose of Jericho
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11/02/2021Oltre ad essere un noto marchio afferente ai mezzi meccanici nel settore edile, Komatsu è anche una vailda band stoner olandese, all’attivo da più di una decina di anni, co già tre album alle spalle, più una serie di partecipazioni live di tutto rispetto, sia in festival che a fianco di molti grossi nomi del panorama stoner-doom. Con la collaborazione di Heavy Psych Sounds, sempre dedita alle sonorità di questo tipo, i Komatsu pubblicano il loro quarto album ‘Rose of Jericho’; un album registrato appena prima che scoppiasse la pandemia, e poi soggetto ad un lungo periodo di quiescenza prima della pubblicazione all’inizio del 2021. I Komatsu, nei lavori sin qui fatti, si sono prevalentemente distinti nel suonare uno stoner rock grintoso ed anche piuttosto sporco, con punte di sludge qua e là e dando quindi quella dimensione di manovalanza concreta che tanto ha contribuito allo sviluppo di questo genere nel mondo underground. ‘Rose of Jericho’, per buona parte del disco, non si discosta molto da questa cornice. La prima metà dell’album è tutta incentrata da questa ruvidezza di fondo, anche se rispetto al precedente album ‘A New Horizon’ del 2018, questo lato risulta leggermente più levigato grazie a soluzioni chitarristiche e ritmiche che lasciano volentieri spazio a riff più ricercati e meditati. Lo si può notare soprattutto nella costruzione di un brano come “Stare Into The Dawn”. In più, si nota una certa maggior epicità nelle linee vocali di Mo Truijens, e quindi non dando totale spazio alle tonalità piuttosto gravi sin qui fatte. A stemperare l’animo tipicamente stoner della band, ci sono brani che presentano immagini vicine ad altre facce della musica pesante. “Son of Sam” riveste quell’anima prevalentemente blueseggiante, con un elegante ritornello enfatizzato dalle doppie voci registrate, e da un lavoro chitarristico particolamente sinuoso. Invece “Call of The Wolves” si avvicina maggiormente a territori di stampo doom, dove i ritmi gradualmente rallentano, andando in una direzione permeata dall’oscurità. A completare il quadro, due brani interamente strumentali come la title-track e la conclusiva “Om” che risultano essere delle buone prove di quelle che potrebbero essere delle jam provate in studio e rifinite poi con maggiore ricercatezza e stile; brani semplici nella loro struttura, ma efficaci quando vengono inseriti nel contesto dell’album. Senza infamia e senza lode, ‘Rose of Jericho’ dimostra ancora una volta la buona sostanza dei Komatsu, capaci di combattere in prima linea quando si trova l’occasione.
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