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BLACK MOTH: Anatomical Venus

data

17/03/2018
80


Genere: Stoner Rock
Etichetta: Candlelight Records
Distro:
Anno: 2018

La potenza dello stoner e l’eleganza della bella Harriet Hyde sono sempre stati i punti di forza degli inglesi Black Moth. Una band che ha costruito un percorso nella scena underground europea di tutto rispetto, e pieno di autorità ed autostima, grazie ad uno stoner poderoso e graffiante, unito alla qualità prorompente della voce di Harriet. Dopo due album di fattura più che buona come ‘The Killing Jar’ e ‘Condemned To Hope’, a distanza di quattro anni da quest’ultimo la band di Leeds accantona per un attimo le immagini ed i disegni dettati da una certa cura ben evidenziata nelle copertine dei dischi precedenti, ed assume ora con ‘Anatomical Venus’ un profilo più diretto, che ha l’intenzione di voler entrare nella sfera cerebrale dell’ascoltatore, e lavorarci al proprio interno per catturarne l’essenza ed impadronirsi della sua psiche. E la band, con il pezzo di apertura, ci riesce all’estrema perfezione. “Istra” è forse uno dei pezzi stoner più belli mai usciti negli ultimi anni, con la cavalcata trionfale dettata dalle chitarre di Jim Swainston e della new entry Federica Gialanze, e dal duo ritmico Dave Vachon al basso e Dom McCready alla batteria, che fa da preludio alla presenza esuberante della voce di Harriet che si fa: epica ed evocativa facendo assolutamente impazzire l’ascoltatore e lo riempie di sana energia; tranquilla e stuzzicante quando si estende all'interno delle strofe. “Istra” è un pezzo che conquista al primo ascolto e che, se proposto dal vivo ed una volta ben assimilato nella nostra mente e nel nostro corpo, sicuramente farà sfracelli e getterà nell’euforia la folla festante. Il viaggio cerebrale continua con “Moonbow”, impreziosita da un videoclip di chiaro sapore psichedelico, dove ancora la voce della Hyde si pone ai massimi livelli, assieme al lavoro di arrangiamento che enfatizza in modo molto concreto il gioco di chitarre. Con “Sisters Of The Stone” si cerca di rientrare nei territori più consolidati dello stoner, che con i dovuti cambi di frequenza non saranno più lasciati fino alla fine dell’album. Il brano in questione si propone come uno stoner molto metallico tutto muscoli e tutto headbanging, per farci ulteriormente sudare. I Black Moth sanno interpretare questo genere nella maniera migliore, e come detto prima uniscono la potenza dei giri chitarristici e delle ritmiche profonde, allo stile autoritario e limpido di Harriet Hyde, in gran forma in questo album. Con “A Lover’s Hate” ci sembra di ripercorrere i migliori Wolfmother, soprattutto quelli del loro primo album dove con “Woman” hanno fatto drizzare i cuori degli appassionati dello stoner poderoso; e la band inglese ovviamente non è da meno, tenendo testa in maniera imperiale con un’andatura aggressiva e sempre proiettata in avanti. L’immagine del volto parzialmente scuoiato, con una porzione di cervello in bella vista, sembra essere la diretta conseguenza dell’ascolto della parte finale di “Pig Men”, talmente frastornante e caotica da far scombussolare le membra. Ma è in generale ciò che si subisce ascoltando per intero ‘Anatomical Venus’, che grazie alla Candlelight Records segna il grande ritorno di una band a volte (ed a torto) sottovalutata, e che invece dimostra di avere la capacità di migliorarsi continuamente e di sconvolgere l’ascoltatore con il loro approccio sempre propositivo, all’insegna della massima efficacia. ‘Anatomical Venus’ è un album che, come i precedenti, può avere effetti spettinanti. Urge un loro ritorno live in Italia.

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