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KIRK WINDSTEIN: Dream In Motion

data

01/02/2020
88


Genere: Sludge, Doom Metal
Etichetta: Entertainment One
Distro:
Anno: 2020

Avviso ai lettori: il vostro recensore è un grande fan di ogni cosa concepita dalla mente (e dal cuore) del signore dei riff Kirk Windstein, cercherò dunque di scindere la mia parte razionale da quella emotiva (se possibile…). Cosa ha combinato il nostro vichingo della Louisiana? Un disco solista, emozionale, emozionante, cupo e malinconico. Data la proposta, incentrata sui sentimenti,  dovrò trattare musiche e testi come un tutt’uno. La titletrack, che apre il disco, fa da collante fra quanto composto per i Crowbar finora e ciò che troviamo su questo nuovo lavoro, un brano tosto e dai riff cadenzati di scuola tipicamente sludge-melodico; un testo che abbraccia tutto il vissuto del nostro eroe, nostalgico e ricco di ricordi, come si evince anche dal video che accompagna il singolo. Dalla seconda traccia inizia il vero percorso introspettivo di Kirk. Con “Hollow Dying Man” le sonorità si spostano nettamente verso lidi più melodici, mostrando un cantato inedito per i fan dello sludge/doom classico, timbriche molto pulite, acute ed appassionate (scuola Black Sabbath). “Once Again” mostra il vero retaggio strumentale dell’artista, grazie all’utilizzo di chitarre pulite e melodie appassionate, gruppi come: Thin Lizzy, Led Zeppelin e Deep Purple, tornano a farsi sentire filtrati dallo spirito doom; testo improntato sulla fortuna di avere sempre una persona accanto che ci comprende. La vera ballad di questo album è “Enemy In Disguise” che mette a nudo l’esperienza di un tradimento d’amicizia. Non manca il classico pezzo strumentale, presente su molti dischi dei Crowbar, in questo caso “The Healing” non è solo un semplice intermezzo strumentale ma un vero e proprio brano senza cantato che comunica perfettamente lo stato d’animo dell’intero disco, inserito come in un vecchio album progressive anni ‘70. Molto bello anche il brano “The Ugly Truth” sul quale si sviluppa una struttura più complessa e multicolore. Infine impossibile non citare la bellissima versione di “Aqualung” dei Jethro Tull, proposta senza particolari cambiamenti ma solo incupita dal suono roccioso e fangoso dello sludge. I temi sono sempre quelli cari all’artista, in particolare mi hanno colpito i testi di “Toxic” e di “Necropolis”, il primo incentrato sulla tossicità di alcune persone che riversano il loro odio e il loro risentimento sulle persone che dicono di amare, impedendo ad esse di vivere appieno la propria vita; mentre nel secondo caso il tema è incentrato sull’esistenza umana, effimera, di fronte all’infinito. La definizione disco solista è valida a tutti gli effetti, Kirk si è occupato del songwriting, voci, chitarre e basso, mentre per batteria e tastiere è corso in suo supporto l’amico Duane Simoneaux, già nelle produzioni di Down, Crowbar ed Exhorder. Doveroso il tributo grafico della copertina, che mostra nome dell'artista e titolo dell'album nello stile di una band cui il nostro eroe è devoto: i Type O Negative del compianto Peter Steele. Cosa dire? Un disco davvero sentito e ricco di emozioni, molto malinconico, ma con una spinta carismatica che solo un personaggio come Kirk Windstein può donare.

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