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HEIR APPARENT: ONE SMALL VOICE

data

12/04/2003
88


Genere: Heavy Metal
Etichetta: Metal Blade
Anno: 1989

Seattle verrà sicuramente ricordata come il luogo di nascita del grunge, un insipido fenomeno di costume (si, perché in larga parte questo è il grunge), e non per il sottobosco di band che dalla stessa città ha messo fuori la testa affacciandosi nello show biz, lasciando ai posteri piccole “perle” di enorme “saggezza”. Tra Queensryche, Metal Church, Sanctuary e Nevermore in seguito, tanto per citarne alcune, si ricamano un angolo tutto proprio anche gli Heir Apparent, band di talento dalle altissime potenzialità espressive e punto di partenza per molte band future gravitanti attorno al filone del prog metal. Dopo un primo album decisamente heavy ed “in your face” (un masterpiece!) e con un nuovo singer, sorge all’improvviso “One Small Voice”, un disco avanti già di qualche decennio rispetto alla paralisi creativa dei morenti anni ‘80. Stilisticamente è un lavoro che gira attorno al Ryche sound, ma reso unico da un utilizzo costante e pomposo delle keys e da sprazzi progressive, nonché da melodie a volte epiche in altre più catchy. Una mistura sonora che ha dell’incredibile se considerata anche la buona tecnica dei cinque, su tutti Terry Gorle (fondatore) che tesse e ritesse trame con perfezione chirurgica, Mike Jackson che fa dell’avorio a sua disposizione merce rara e preziosa, e Steve Benito che si arrampica su scale che pendono nel vuoto senza mai accusare una vertigine, una delle voci (naturale, spontanea, mai forzata) più belle di sempre (un suo duetto con mr. Tate mi condurrebbe diritto alla tomba). Già la sola ed iniziale “Just Imagine”, in tutta la sua profonda drammaticità, dovrebbe essere motivo d’acquisto ed ascoltata e riascoltata tante volte quante sono le song che complessivamente completano l’album. “Cacophony Of Anger” e “Decorated” sono strutturalmente due brani portanti, due pilastri delle fondamenta di un certo genere di comporre musica pesante, già cosi lontana dai canoni tradizionali del metal e così prossima ai futuri schemi progressive. Ma non lasciatevi ingannare da questa etichetta, OSV è tutt’altro che un concentrato di tecnica e cambi di tempi repentini, è soprattutto un corollario di ispirazione, un mostruoso impatto emotivo capace di smuovere anche la più pesante roccia terrestre. Da menzionare, infine, l’ottima cover di “The Sound Of Silence” di Paul Simon e l’unico difetto del disco: la produzione. Troppo scarna ed essenziale per un album che necessita di enfasi e suoni più corposi. Ciononostante, the candle still burns…

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