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CIRITH UNGOL: PARADISE LOST

data

28/08/2003
90


Genere: Epic Metal
Etichetta: Restless Records
Anno: 1991

I Cirith Ungol non avrebbero potuto chiudere la loro carriera in maniera migliore: Dopo lo psichedelico "Frost and Fire", l'enigmatico "King of the Dead" e l'epico "One Foot in Hell" ecco il disco che riassume tutte le tendenze della band in una sola opera. Loro stessi l'hanno considerato un tentativo riuscito a metà: sono ormai ben note le tristi vicende del missaggio (da cui sono stati interamente estromessi) per non parlare del suo status di completa irreperibilità dovuto a problemi legali con la Restless Records. E chissà che non avrebbe potuto bissare la grandezza di "King of the Dead" se fosse riuscito appieno perché, anche se incompleto, "Paradise Lost" è un lavoro, ancora una volta, incredibilmente bello. Riff di chitarra sempre più heavy e maggiormente complessi, grande uso di armonie maideniane e soluzioni variegate atte ad esprimere ora dolore, ora epicità, ora paura, rendono Paradise Lost un disco a un primo momento difficile da capire (come in fondo ogni opera della band), in quanto non è definibile un unico stile, sembra di ascoltare una raccolta di materiale proveniente da epoche diverse. Ricordiamo inoltre che solo metà della formazione storica è sopravvissuta, in quanto Vernon Green e Jim Barraza sostituiscono due colonne portanti della band, i grandi Jerry Fogle e Flint, e per quanto i nuovi arrivati svolgano un lavoro eccellente, non si può dire che non facciano rimpiangere i loro predecessori. Si apre con l'anima più heavy della band, che sforna uno dei più grandi metal anthem della storia a nome "Join the Legion", ancora una volta un duello tra le sfuriate chitarristiche del nuovo venuto Jim Barraza e l'apocalittico chorus. Dopodichè, in una carrellata incessante, abbiamo il doom sabbathiano di "Before the Lash", l'hard rock melodico di "Go it Alone", la cover "The Fire" (classico New Wave a firma Arthur Brown), il metal cavernoso e maligno di "The Troll", fino a un brano che definirei addirittura power metal, quella "Heaven Help Us" dove Tim sperimenta riuscitissime e sorprendenti clean vocals. Ma è con la trilogia firmata interamente dal vocalist che il disco si chiude, e la carriera dei Cirith Ungol non si sarebbe potuta chiudere in maniera migliore. Una trilogia sul "Paradise Lost" di Milton che dà il titolo al disco, una trilogia sull'umanità che vende la sua stessa essenza a Satana, una trilogia su un mondo distrutto ed irrecuperabile, da sempre il leit motiv della band, che ancora una volta trova un'incarnazione musicale a dir poco perfetta. L'angoscia di "Chaos Rising", la desolazione di "Fallen Idols" ed infine, profeticamente, la guerresca epicità di "Paradise Lost": tre canzoni completamente diverse ma guidate da un'unica idea di eterna distruzione ed eterna battaglia: non a caso la trilogia si chiude e si apre con lo stesso epicissimo ma contemporaneamente angosciante riff, summa dello spirito che ha sempre permeato la musica dei Cirith Ungol, e migliore modo possibile per mettere la parola "fine" alla loro storia. Come prevedibile, siamo ancora una volta di fronte un disco grandioso, stavolta anche dotato di un'incredibile varietà, che purtroppo soffre dell'incompletezza e dell'impossibilità da parte della band di un lavoro di revisione. Ascoltare le versioni demo di molti brani di questo disco contenute in "Servants of Chaos" fa capire come molte cose avrebbero potuto essere migliorate, e a dirla tutta fa davvero imbestialire pensare a tanto potenziale sprecato. Vale comunque la pena di cercare, con gran fortuna, nel mercato dell'usato questo disco perché completa il discorso dei nostri, sembrerebbe quasi fatto apposta per fare "il punto della situazione" prendendo il meglio dalle loro tre incarnazioni precedenti. Non c'è miglior parola fine alla carriera dei ragazzi di Ventura: il paradiso è perduto per sempre, il sogno è finito e la leggenda torna ad insanguinarsi nella realtà. Ma questi 4 dischi, questi 4 capolavori, nessuno ce li potrà mai togliere. Mai e poi mai.

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