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CIRITH UNGOL: ONE FOOT IN HELL

data

23/02/2005
95


Genere: Epic Metal
Etichetta: Metal Blade
Anno: 1986

L'altro lavoro riconosciuto come caposaldo degli epic-metallers di Ventura è il disco di una band matura, che però cessa di sperimentare con la psichedelia per dedicarsi a un epic metal tout-court ma non per questo meno fantasioso e creativo di quello che ha reso grande King of the Dead: la consueta opener fuori dal coro, "Blood and Iron", è infatti una veloce cavalcata maideniana che apre l'insanguinato sipario di questo disco. Riff di chitarra sempre più epici e possenti, e un sound curato stavolta da Brian Slagel, ci presentano un disco forse meno malevolo e disturbante di King of the Dead, ma più crudo e sanguinoso, che guadagna in ferocia quanto perde in follia. La genialità pazzoide made in Ungol è però sempre presente con inusitate divagazioni solistiche e melodie sempre originali e spiazzanti come quella del chorus ipnotico di "Doomed Planet", una canzone fuori dal tempo nel suo riunire vecchio e il nuovo doom in un'unica efficacissima forula. Come sempre l'epicità del lavoro è sentita e sofferta, e ancora una volta Tim Baker grida al mondo la sua rabbia e il suo dolore sul sottofondo di un metallo rovente e potentissimo: l'implacabile macchina da guerra in cui si sono trasformati gli Ungol non teme nemici, e schiaccia pachidermica ogni resistenza sul suo passaggio. Da segnalare però che questo disco, il più compatto e robusto dei Cirith, contiene al suo interno le solite spiazzanti canzoni "fuori posto" come la vecchissima "100 mph" riadattata e trasformata in un nuovo cavallo di battaglia, o la straniante e settantiana "The Fire", animata da un riff priestiano ma carica di mood sabbathiani e lisergici. E' da notare come la crescita dei nostri non conosce sosta, e spazia per tutto l'heavy metal pur conservando un sound concreto: una musica capace di rompere gli schemi pur rimanendo ben riconoscibile e indiscutibilmente metallica. E' qui che Garven e soci hanno dato alla luce la loro canzone più epica, la monumentale "Nadsokor" forte di uno dei più bei solos della storia del metal e di un Tim Baker più ispirato che mai, che trova il suo corrispettivo in "War Eternal" altra traccia di epicità inusitata, i cui riff dinamici e virulenti fanno da contraltare a un ritornello battagliero come pochi. Che dire poi di "Chaos Descends", una funerea dichiarazione di guerra spietata e dolorosa, vero inno doom metal che tramuta un riff anomalo e implacabile in una lenta apocalisse messa in musica, concetto che potrebbe riassumere l'intera opera dei Cirith Ungol e che trova qui una delle sue migliori incarnazioni, così come nella title track conclusiva, la lenta e glaciale "One Foot in Hell", una tetra marcia funebre per l'umanità intera guidata da un riff nero come la pece e glorioso come l'acciaio! In sostanza, "One Foot in Hell" è un disco da ascoltare tutto d'un fiato, augurandosi di sopravvivere: non ci sono momenti di riposo, l'incedere della mortifera e belligerante profezia di morte è continuo ed atroce. I Cirith Ungol stavolta non vogliono risparmiare nessuno, vogliono solo versare più sangue possibile con un'opera che non è semplicemente un album, ma un vero e proprio assalto all'arma bianca: se "King of the Dead" rappresentava l'anima più onirica ed enigmatica della musica dei nostri eroi, "One Foot in Hell" è l'altra faccia della medaglia, ovvero la loro anima più carnale e feroce, che si rotola sanguinante nella sabbia attendendo la fine del mondo. Come già detto, non c'è la magia di "King of the Dead", ma ancora una volta abbiamo grande heavy metal, grande musica ed emozioni potenti ed inarrivabili, per una band che ha ancora molto da dire. Ed è un peccato che questo sarà l'ultimo disco della formazione storica degli Ungol, l'ultimo con alla chitarra il grande, mai troppo lodato e compianto Jerry Fogle, che ci ha regalato qui alcune delle sue migliori prove chitarristiche. Non ci sono parole per definire la perdita di cotanto musicista, ma il solo di "Nadsokor" rimane ancora una volta il modo migliore per capirne la grandezza.

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