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MANTAR: Ode To The Flame

data

17/05/2016
76


Genere: Blackened Sludge Metal
Etichetta: Nuclear Blast
Distro: Warner Bros
Anno: 2016

"Brutti, sporchi e cattivi", prendendo in prestito il titolo di un vecchio film di Scola. I Mantar sono esattamente così, o almeno così vogliono apparire alle nostre orecchie con questo secondo violento disco, 'Ode To The Flame", che è l'affresco perfetto della violenza sonora mista ad una malsana e malata melodia e ad una attitudine tutta rock. Catalogarli come gruppo estremo ci pare alquanto riduttivo ascoltando la proposta di questo duo tedesco, il loro sound si muove piuttosto su un terreno viscido e paludoso, dove le mefitiche esalazioni rabbiose sono il frutto marcio dell'ugola di Hanno che ci vomita rabbia senza un attimo di sosta e senza alcuna esitazione; la regola è non fare prigionieri...e in effetti non ne fanno. Il disco si apre con una breve apripista di poco più di due minuti di furia marcescente, un breve antipasto d'effetto che ci prepara alla prima hit del disco, "Praise The Plague", un mix di riff che spaziano dallo stoner/sludge più melmoso a sonorità ossessive e martellanti che pagano tributo alle influenze più industrial del duo. La potenza della malvagia commistione non si riduce però solo al cantato lacerante di Hanno e alle ritmiche pesanti e sulfuree delle chitarre, non possiamo non notare come vi sia all'interno dell'album una buona dose di melodia oscura e malinconica che paga il suo tributo alla darkwave e più in generale al dark rock. Se mentre in "Era Borealis" ci vengono in mente i Moonspell  di 'Alpha Noir/Omega White', con il suo ritornello scandito da urlare a squarciagola che suona come invito alla battaglia, in "The Hint" invece cogliamo le prime sfumature più melodiche, il pezzo si presenta più lento e cadenzato, scandito dalla sapienza percussiva di Erinc dietro le pelli, il tutto avvolto in un'aura oscura e gotica; stesse tinte oscure che accompagnano l'intro di "I Omen" che risuona come un macabro "carillon". Ma le incursioni a testa bassa più di stampo rock’n’roll non si fanno attendere e ritornano prima con "Oz", spedito up tempo che fa coppia con "Cross the Cross", pezzo di pregio che mischia la rabbia rock alla più nera disperazione nichilista, fino a sfociare in un rallentamento claustrofobico e pesante in pieno stile doom. Le ultime bordate di violenza sono affidate a "Schwanenstein" e "Sundowning", efficaci mid tempo dalle tinte fosche, scanditi dal latrato sofferente di Hanno che si avvicina nel ricordo a quello marcescente di John Tardy. Possiamo considerare questo lavoro come il frutto malato della rabbia hardcore che incontra la venatura rock e le correnti più moderne che spaziano dallo sludge all'industrial, fino alla melodia malinconica ed oscura del gothic rock e alla rozzezza del black metal. Potremmo dire che con questo album i Mantar si guadagnano il posto di cugini ancor più cattivi dei Kvelertak.

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