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KAMELOT: GHOST OPERA

data

04/07/2007
69


Genere: Melodic Power Metal
Etichetta: SPV
Anno: 2007

Dopo aver sfornato due lavori prestigiosi come “Epica” e “The Black Halo”, celebrati con il monumentale DVD “One Cold Winter’s Night”, i Kamelot hanno finalmente in canna il loro colpo migliore, quello con cui una band di questo livello può lasciare il proprio indelebile segno nella storia della musica. E le aspettative dietro a questo “Ghost Opera” sono infatti così grandi, come tutto il lavoro di promozione che precede questa release, tanto da far credere che il meritato momento della consacrazione sia finalmente giunto. Ed invece questo “colpo” non centra in pieno il bersaglio, la band di Thomas Youngblood svolge un lavoro assolutamente esemplare con una cura così dettagliata di ogni singolo particolare del songwriting che non permette a questo disco di “osare”, di sapersi spingere oltre e di entusiasmare con naturalezza. Un album prudente improntato molto più sull’atmosfera e sull’espressività vocale del proprio singer Roy Kahn che verso le ritmiche più aggressive e veloci che costringono il drummer Casey Grillo ad un lavoro con il “freno a mano” tirato. Infatti escludendo la bella titletrack i brani Power in classico stile Kamelot sono solo la classica “Silence Of The Darkness” e le poco entusiasmanti “Up To The Ashes” e la conclusiva “EdenEcho”. Gli altri brani di “Ghost Opera” si lasciano apprezzare ma scivolano via senza lasciar traccia, tra il bei ritornelli di “The Human Stain” e “Love You To Death” ed il poco incisivo mid-tempo di apertura dal sapore orientale. Non ci si poteva non aspettare una ballad di un certo spessore e la nuova emozionante “Anthem” non delude confermando come vincente l’accoppiata tra il piano e la voce di Kahn, che si sarebbe apprezzata ancora di più senza questo limitativo “effetto grammofono”. Questo ottavo disco in casa Kamelot si limita al proprio lavoro, ben riuscito per carità, ma sembra proprio che Youngblood e soci abbiano patito della pressione che c’era attorno a questa release. Orchestrazioni curatissime e tanti fronzoli per un album dal quale si poteva aspettare di più.

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