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EVEN VAST: Warped Existence

data

24/03/2019
75


Genere: Stoner, Doom
Etichetta: The Goatmancer records
Distro:
Anno: 2019

Prendete tutto quel che conoscete riguardo gli Even Vast e mettetelo da parte, tabula rasa e si ricomincia tutto da capo. Ammetto che quando ho fatto il confronto tra il precedente 'Teach Me How To Bleed' e questo nuovo 'Warped Existence' per poco non mi veniva un coccolone; sono proprio loro? Sono lo stesso gruppo?. Ebbene sì, abbondonate le vesti gotiche e ben più morbide e melodiche degli albori, la band si ripresenta sotto una veste totalmente nuova. Il genere proposto è uno stoner roccioso con venature doom ma che conserva al suo interno un nucleo melodico sempre vivo e che emerge a più riprese durante i dieci brani che compongono questo disco. D'altronde già l'intro orientato verso le sonorità più sludge è un preludio più che chiaro della via intrapresa dai nostri; brani come la rovente "I Know", che ricorda un po' lo stoner desertico dei Kyuss o "How Long", granitica e dalle linee vocali più graffianti, parlano chiaro e sono il perfetto esempio di stoner interpretato alla maniera degli Even Vast. Ma questo platter ci offre anche ben altro, lungi dall'essere monotono e monotematico, non si possono non percepire le smaccate influenze doom più classicheggianti di "Somebody" che ha un certo appeal settantiano, quasi sabbathiano e "Inside Your Head", pachidermica e con il suo refrain ossessivo. Ma forse ciò che davvero aggiunge quel pizzico di sale e fa la vera differenza all'interno di un lavoro che fin ora pare comunque ben fatto, è la componente più melodica che emerge prepotente in alcune delle sue composizioni. "Imaginary Friend" sembra essere la figlia illegittima di uno strano e malato amplesso tra Pearl Jam e Kyuss, mentre il refrain di "Same Old Story" evidenzia uno spiccato senso e gusto per la melodia che crea un connubio perfetto con i toni granitici dello stoner creando delle interessanti e piacevoli combinazioni. Ma probabilmente la vera chicca di questo full-length è la conclusiva "Be There" che assume i toni di una lenta e malinconica ballata dal sapore darkeggiante nella quale si mescolano sonorità eterogenee; la melodia del sassofono (vero elemento di sorpresa) va ad intrecciarsi con una linea di basso roboante e fuzzosa che spicca rispetto all'arpeggio cristallino scandito dalla chitarra ritmica. Le note ripetitive e cadenzate riportano alla mente i The Cure del loro periodo più cupo, mentre il pathos espresso nella linea vocale si avvicina nuovamente alle sonorità grunge, strizzando l'occhio questa volta agli Alice in Chains. La vasta gamma di "colori" e sfumature rappresentata su questo disco costituisce sicuramente il suo punto di forza che ne giustifica e ne consiglia vivamente l'ascolto. Un lavoro che possiamo definire dinamico, maturo e capace di tenere l'ascoltatore incollato alle casse. Fossero tutti così i dischi...

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