DOOL: Summerland
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02/05/2020Un paio di anni fa, dalla florida Olanda, sono saliti alla ribalta i DOOL, i quali nati da una costola degli ormai defunti The Devil’s Blood, con la loro miscela di rock graffiante e dark profondo hanno raccolto ampi positivi consensi da molte parti. Il contenuto musicale di ‘Here Now, There Then’ è stato capace di essere convincente sin dai primi ascolti. I meriti principali vanno a due grandi componenti. La prima è la connessione stilistica con la musica occulta della band madre The Devil’s Blood, da cui derivano il bassista Job van de Zande e il batterista Micha Haring, che si incunea in modo consistente nel rock alternativo dei DOOL, dandogli quel tocco di personalità che ne diventa linfa vitale. La seconda, che è diventata soprattutto dal vivo la chiave necessaria per il loro successo, è la qualità musicale, scenica e personale della cantante e chitarrista Ryanne van Dorst. Una voce così vissuta, stagionata e sanguigna come la sua non può certo passare inosservata, e così è stato per l’album di debutto. Sostanzialmente, le stesse parole sin qui prodotte le possiamo trasportare descrivendo sinteticamente il loro secondo album ‘Summerland’, di nuovo prodotto per Prophecy Productions, casa discografica da sempre attenta a promuovere musica che sia innanzitutto emozionalmente viscerale, cogliendo dagli artisti l’innesco e la connessione del loro lato intimo ed intrinseco con la musica che propongono. Il brano che apre l’album “Sulphur & Starlight” e che ha anticipato l’uscita del nuovo album, fa intendere che i DOOL vogliono continuare il percorso intrapreso con ‘Here Now, There Then’, cercando però di alzare ulteriormente l’asticella quel tanto che basta da mantenere assolutamente viva l’attenzione nei loro confronti. La van Dorst si conferma ancora a suo agio tra le melodie di rock ammaliante e penetrante di cui i DOOL sembrano essere veri padroni, dove le chitarre sia sua che di quelle di Reinier Vermuelen e di Nick Polak (già tra le file dei connazionali GOLD) sferzano note taglienti che incidono in maniera trasversale. Tra rock propositivo, atmosfere riflessive e rilassanti e pathos che si taglia con il coltello, l’album scorre in teoria liscio, ma nella realtà denso di contenuti e di significati, con una “Wolf Moon” (altro pezzo anticipatorio con un videoclip molto anni '90) che rappresenta sempre più la figura della van Dorst quale colonna portante della band. Il brano che, però, potrebbe risultare come il più significativo dell’album è quello relativamente più tranquillo del lotto, la title-track. In quasi otto minuti e mezzo di pura emozione, “Summerland” emana un’atmosfera sconvolgente, soprattutto nel ritornello dove si esalta con la sua carica emotiva che ci investe in pieno. Una canzone che sicuramente dal vivo farà sfracelli dal punto di vista dell’attenzione che il pubblico rivolgerà nei loro confronti, dove i loro corpi verranno rapiti dalle ondate di atmosfera che il brano emanerà. Tra gli altri vari brani, si menziona “The Well’s Run Dry”, con una chitarra che scandisce la melodica in uno stile quasi western, e che dà la ritmica fondante e spedita di cui poi si forma il brano. Con ‘Summerland’ i DOOL piantano un altro, nuovo, picchetto sul terreno che segna la loro presenza dirompente nel panorama del rock alternativo europeo, grazie ad una personalità che ormai li contraddistingue appieno. Sempre più ammalianti.
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