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HELFIR

E’ uscito il 6 novembre scorso il terzo album del polistrumentista Luca Mazzotta, in arte Helfir. 'The Journey' il titolo di questa nuova fatica, un concept album suddiviso in tre capitoli lineari e meticosi per un totale di undici brani puramente dark/doom. "La musica è un processo in continua evoluzione...” sostiene Luca. Troveremo questa evoluzione anche in questo suo nuovo lavoro? Ecco cosa ci ha raccontato.

'The Journey' è il tuo terzo album, un lavoro complesso e meticoloso un vero e proprio concentrato di musica dark e doom in perfetto stile Helfir. Cosa ti ha spinto alla lavorazione di questo nuovo album? Come nasce e perché? Ciao a tutti! In questo terzo lavoro di HELFIR ho voluto provare a raccontare, attraverso le canzoni, la vita di ognuno di noi. Sono perciò partito da me stesso, ho tirato fuori ricordi di quando ero bambino, immagini che portavo con me ed ho provato ad immaginare il futuro, come un viaggio attraverso noi stessi. Ogni volta che decido di scrivere un album è come se decidessi un vero e proprio concept, qualcosa di mio ma che possa rispecchiare le emozioni di ognuno di noi. Ad esempio, “The Human Defeat” era la storia di un personaggio immaginario che assisteva alla furia della natura che si rivoltava contro l’intera umanità a causa dei disastri che aveva causato! Il processo creativo che porta alla scrittura di un disco comunque nasce da un’esigenza spesso preponderante, non spiegabile razionalmente ma che proviene dall’inconscio di colui che scrive.

L’album è uscito il 6 novembre. Quali riscontri sta ricevendo? Hai icontrato problematiche visto il periodo con la promozione del tuo nuovo lavoro? Esattamente, “The Journey” è il terzo album, uscito a distanza di tre anni dal secondo “The Human Defeat”. Posso ritenermi fortunato in quanto, nonostante il dramma a livello mondiale che stiamo vivendo, ci sono ancora persone che credono nella musica, che vogliono ascoltare qualcosa di nuovo. Credo che la gente trovi anche un rifugio nella musica, come se fosse un mondo puro, lontano dal caos a cui siamo costretti ad assistere quotidianamente. Naturalmente non posso negare che tutto sta procedendo a rilento in quanto, mancando la dimensione live, vengono meno i rapporti diretti con il pubblico e questo incide anche sulle vendite.

Spesso hai parlato di Helfir come “…un processo catartico, un viaggio introspettivo…”, spesso la musica funge da ottima cassa di risonanza per esternare malesseri, rabbia, frustrazione, etc. Vale lo stesso anche per te? Cos’è per te la musica e che ruolo ha nella tua vita? Ho fatto la professione di musicista per diversi anni e la musica è stata per me sempre una cura, un rifugio, ma anche una fonte di sostentamento. Non ricordo un periodo della mia vita in cui non ci sia stata la musica, è fondamentale e ormai fa parte della mia persona. Da quando però è nato HELFIR, il mio rapporto con essa è diventato ancora più profondo e intimo in quanto mi trovo da solo a scavare tra le note, i suoni, a creare atmosfere, ecc. Questo progetto infatti è nato per gioco, ma anche per una enorme necessità, in un momento turbolento della mia vita. Avevo bisogno di intraprendere un percorso in solitudine che fosse catartico, volevo trasformare in musica la mia rabbia, il mio dolore e il mio stato d’animo, quello più oscuro che sentivo dentro.

'The Journey' è suddiviso in tre capitoli, per un totale di undici brani. Ci racconti questa suddivisione? Il primo capitolo ad esempio si chiama “Lying On A Blue Lawn”, segue “Table Of Diners” e chiude con “Tree Of The Abyss”…Quando ho iniziato a creare “The Journey” mi sono venute in mente queste tre immagini, come se fossero dei dipinti appartenenti alla corrente surrealista. Paradossalmente è iniziato proprio con questi tre titoli, che pensavo dovessero essere i nomi di alcuni brani ma in realtà sono diventati i capitoli di questo disco. Ho immaginato la vita e quindi il nostro viaggio, suddiviso in tre grandi fasi; la prima (Lying On A Blue Lawn) è un’immagine che mi ha sempre dato la sensazione di leggerezza, spensieratezza tipica dell’infanzia o adolescenza. Il secondo capitolo (Table Of Diners) è nato invece da un’immagine che mi ossessionava da diverso tempo ovvero una stanza buia, un tavolo e delle persone attorno che a turno, parlavano e raccontavano di sé come se stessero tirando le somme di ciò che avevano fatto fino a quel momento. L’ultimo capitolo (Tree Of The Abyss) è facilmente intuibile. Si scende negli abissi, dove la luce diventa sempre più fioca, la solitudine è l’unica cosa che ci rimane in questa parte del viaggio insieme alla presenza di un albero a sorreggere questo mondo. È la parte finale del viaggio in cui anche la musica assume colori diversi rispetto ai capitoli precedenti.

Rispetto ai precedenti lavori com’è evoluto il progetto Helfir? Che aspettative per questo nuovo album? La musica, come qualunque forma d’arte, è un processo in continua evoluzione. La bellezza della musica sta proprio in questo, nulla è statico ma tutto si trasforma in relazione allo stato d’animo dell’artista e da ciò che lo circonda. Personalmente sento che HELFIR cambia di anno in anno, tecnicamente cambio io, cambia l’approccio agli strumenti, alla composizione, ecc. Nel corso di questi anni ho imparato un sacco di cose che lentamente ho cercato di applicare in questo mio progetto. Non avendo poi alcuna pressione da parte di altri musicisti, ho la fortuna di poter assimilare e metabolizzare tutto ciò che imparo e farne tesoro. Nel 2013 quando è nato il progetto HELFIR l’unico obiettivo che mi sono posto è stato quello di divertirmi e purificare la mia anima attraverso la scrittura di canzoni. Tutt’ora rimane il mio unico e solo obiettivo. Naturalmente spero che quante più persone possano ascoltare ed apprezzare “The Journey” così come gli album precedenti. Dai primi feedback ricevuti mi sento già in pace perché mi sono reso conto che diverse persone che hanno ascoltato il disco hanno recepito il messaggio racchiuso nelle canzoni. Questo credo sia la cosa più affascinante della musica e la cosa più gratificante per chi la scrive.

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