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BLUT

Nella musica rock e metal dell'era contemporanea e non si sono affrontati temi tra i più svariati, a dispetto di quei "soloni" bigotti che pensano che tutto ciò sia solamente la musica del diavolo. Lo studio e l'analisi della medicina non è stato però adeguatamente affrontato. Da un'idea curiosa e bislacca proveniente dal Nord Italia nascono i Blut, un collettivo variegato che affronta i temi della psiche umana e dell'insanità mentale instillando (cosa da non sottovalutare) il giusto tatto e la corretta ironia, cercando quindi di non rischiare di essere eccessivamente provocatori e fastidiosi. Partendo proprio dalle inquietudini mentali e psicologiche avvenute negli anni scorsi, Alessandro Schümperlin è la mente e il cuore del progetto Blut, che con i due capitoli di 'Inside My Mind' ha cercato di dare una visione divertente ed allegra delle sindromi più curiose che, anche attualmente, sono emerse. All'interno dell'evento Drakkarock, abbiamo fatto una lunga chiacchierata sia con lui, che con la sua fida compagna di avventure Marika Vanni, che ci hanno fatto salire in un viaggio lungo i lati più misteriosi della sanità mentale, oltre a spiegarci come si è sviluppato il progetto dal punto di vista strettamente musicale e qual è l'intenzione principale che Blut cerca di raggiungere. Vi consiglio di allacciarvi le cinture e di leggere possibilmente con la mente libera.

Ciao Alessandro e  Marika, e benvenuti su Hardsounds.it. Prima di tutto, provatemi a spiegare in poche parole la genesi del progetto Blut e l’obiettivo principale che questo collettivo si prefigge. Alessandro Schümperlin: La genesi di Blut è arrivata il giorno dopo che sono di fatto morti gli Anthologies, nel senso che ci siamo sciolti il 14 giugno 2014, e io avevo già del materiale abbozzato e mi son detto: ‘Per quale motivo lasciarlo a marcire? Mi ci faccio su qualche cosa’. Visto e considerato che era un periodo un po’ particolare della mia vita, ho pensato al nome Blut che è arrivato dal fantomatico discorso “Buon sangue non mente”. In tedesco ‘sangue’ è ‘blut’, e quindi volendo dare un po’ di sfogo alla mia metà svizzero-tedesca ho deciso di chiamarlo così. All’inizio doveva essere un progetto solo ed esclusivamente da studio, ma nel frattempo che si stava creando ‘Inside My Mind pt.1’ mi è balenata l’idea di dire: ‘Perché non si può passare da progetto solista a un progetto che sia un po’ più ampio?’. E quindi ho chiesto a quelli che erano stati gli strumentisti ed i musicisti che hanno partecipato nelle varie parti, tra cui Marika, Silvia, Davide Rigamonti, Matteo Calautti; chiedendo un po’ a loro, qualcuno ha detto di sì e qualcuno ha detto di no. Il risultato è stato di fatto un progetto che si è trasformato da solo-project da studio a  un progetto che potesse andare oltre, e che ora è quello che siamo: un caravan serraglio di squilibrati che suonano.

Ma quei pezzi che avevi già iniziato a fare erano per gli Anthologies, o li hai recuperati per il primo album dei Blut? Alessandro: Erano nati come canzoni per gli Anthologies. Li ho poi rielaborati insieme a Giulio Capone (ex batterista di Bejelit e Temperance, ndr), che mi ha dato una mano per gli arrangiamenti per il primo ed il secondo album dei Blut, e gli ho voluto dare un’impronta un filino più estrema nel senso elettronico della situazione, rispetto a quello che era inizialmente, perché effettivamente cinque brani del primo album erano nati come canzoni che sarebbero dovute essere utilizzate per il primo album degli Anthologies. E invece è diventato il primo album dei Blut.

I Blut sono arrivati al secondo capitolo della storia di ‘Inside My Mind’. Alla fine di questo capitolo, a che punto siete arrivati nell’analisi dello studio della mente e del pensiero dell’essere umano? Alessandro: Dal mio punto di vista non abbiamo nemmeno iniziato a finire la prefazione. Anche se l’idea di fare oggi un ‘Inside My Mind pt.3’ al momento non c’è.

Marika Vanni: In realtà ci sarebbe ancora molto da dire, ma in questo momento potrebbe forse risultare stucchevole al pubblico, potrebbe essere ridondante, dato che si affrontano diverse malattie c’è questo rischio di essere ridondante, fastidioso, noioso. Per cui si può fare una parentesi diversa, per poi eventualmente riprendere in un secondo momento con qualcosa inerente ai primi due album. Il terzo capitolo sarà diverso.

Quindi Alessandro, il tuo concetto di ‘prefazione’ in che cosa consiste? Alessandro: La mia prefazione era l’interpretazione di queste iniziali dodici malattie che avevo trovato piuttosto curiose, che sono poi buona parte delle canzoni che si trovano nella prima e nella seconda parte di ‘Inside My Mind’. Si passa da la Sindrome di Alice, che è una cosa tutto sommato carina e risibile, perché è una sindrome che colpisce i bambini sotto i tre anni, e i tossici. Ed è l’errata percezione di tutto il mondo intorno a quella persona che ne soffre, per cui si vedono le cose enormi piuttosto che microscopiche. Si passa a cose un po’ più pesanti come la Sindrome di Otello, che purtroppo è una paranoia che porta spesso e volentieri all’uccisione del compagno, arsi ed erosi dalla gelosia che non è soltanto il fatto che ci possa essere un atteggiamento equivoco da parte del compagno, ma perché la persona ha fisicamente dei film mentali per cui ha delle “prove” (diciamola tra mille virgolette) e ha quindi un personale ago dentro la testa che fomenta questa gelosia, e spesso si arriva purtroppo all’uccisione del coniuge o del compagno. E in mezzo ci sono altre situazioni, come la Sindrome di Parigi che colpisce tendenzialmente gli asiatici, e nella fattispecie principalmente i giapponesi che vanno in crisi depressiva perché si accorgono che Parigi non è questa cosa spettacolare, luccicosa e strapiena di amore, ma è una capitale come tante che tutto sommato potrebbe essere equiparabile a una Yokohama o una Tokyo qualsiasi. E loro vanno in depressione, e una cosa similare può capitare con la Sindrome di Gerusalemme, per la quale ci sono persone che perdono la concezione e si credono il nuovo Messia, e mediamente ci sono quaranta casi all’anno che capitano in Gerusalemme. Ci sono uomini e donne che, di solito, sono i turisti che di fatto rubano le lenzuola dall’hotel e girano con il lenzuolo addosso millantando di essere profeti, e oltretutto mandando a memoria alcuni pezzi della Torah, della Bibbia e in alcuni rari casi anche del Corano. In tanti pensano che sia la magia che gravita attorno alla città di Gerusalemme.

Marika: C’è questo elevato spiritualismo che ti porta a perdere il lume della ragione ed a farti travolgere.

Alessandro: E’ proprio una malattia dove l’unico modo per poterne uscire è, come per la Sindrome di Parigi, andarsene e ritornare a casa propria, e per quanto riguarda la Sindrome di Gerusalemme, essere seguiti per alcuni mesi da un terapeuta. E poi c’è la Sindrome di Ekbom, in cui si sente di avere gli insetti che si muovono sotto la pelle, e che è problematica. Quindi, in sostanza, abbiamo tentato di dare la nostra visione a queste malattie. In aggiunta a tutto questo abbiamo messo delle chicche. La prima è stata “Inside The Evil” che è stato il nostro secondo singolo, e che è una canzone dedicata a Cesare Lombroso. Personalmente, faccio fatica ad accettare i meccanismi dei neo-borbonici che stanno cercando di far chiudere il museo per la terza volta, dichiarando che le teste mozzate che sono esposte (che poi non sono teste mozzate, ma maschere di cera con calchi in gesso) fossero principalmente di tutti i soggetti uccisi al di sotto di Roma, quindi nel Regno delle Due Sicilie, per esempio napoletani, salernitani, calabresi e così via. La realtà dei fatti, però, non è questa. Perché va bene tutto, ma alla fine dell’Ottocento non avevano qui in Italia le eccellenze per poter fare la mummificazione dei pezzi, e quindi la maggior parte di quei calchi arriva dal circondario del Regno Sabaudo di allora, quindi Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta. E poi, in un secondo momento, al museo sono stati ceduti dei calchi che erano stati fatti altrove. Poi è vero, il teschio di Bilella, che è uno dei briganti uccisi dall’esercito sabaudo, è ancora esposto lì, come del resto è anche esposto lo scheletro intero di Lombroso e, a nota, Lombroso era anche ebreo, quindi dargli del razzista stride un po’ per qualcuno. L’altra chicca è invece inserita in ‘Inside My Mind pt.2’ che è la versione del vicino di casa di Sigmund Freud. La realtà dei fatti è questa: io, per mie problematiche, mi sono avvicinato ad un terapeuta di base jungiana, e quindi amico fino ad un certo punto di Freud. Solo che Carl Gustav Jung non la faceva in causa-effetto, ma la vedeva in una maniera un po’ più ampia. Aver scoperto certe cattiverie fatte da Freud nei confronti di Jung (e a questo punto Jung di rimando) mi ha dato l’impressione che Freud non fosse proprio quello stinco di santo, e quindi mi sono immaginato il vicino di casa di Sigmund Freud che si ritrova i pazienti di Freud stesso che urlano, che ragliano e che non lo fanno dormire, fino a che il vicino stesso si sfoga dicendogli: ‘Mi hai rotto i coglioni!!!’. E il finale, ovviamente da Caino quale Sigmund Freud è, dice: ‘Ma siamo proprio sicuri che i problemi siano i miei pazienti? Non è che il problema è che tu hai… sai… una questione di Edipo… sai, Sindrome di Edipo?... l’hai mai sentita?... non è che c’è di mezzo ‘sta cosa… non è che ti vuoi trombare tu’ mà???’ (ride). E quindi l’abbiamo fatta così, per dare una visione comunque scherzosa ed ironica di una serie di situazioni che non sono simpatiche, perché va ammesso: non vogliamo ridere delle malattie mentali, né inneggiarle o osannarle, ma con il nostro minimo tentativo, un po’ goffo, di spiegare la nostra visione delle cose, e farlo con quel po’ di tatto che abbiamo.

Quindi queste figure che hai citato prima, Cesare Lombroso e Carl Gustav Jung,  sono personaggi che sono stati riferimento durante la tua crescita personale, o ti sei approcciato a loro solamente a livello musicale e nella composizione degli album? Alessandro: Per quel che riguarda Lombroso è una mia curiosità personale, perché sono appassionato delle scienze forensi e lui è stato uno dei padri della scienza e anatomia forense. Checché se ne dica, è stato il primo ad inventare le famose foto segnaletiche, prima non si faceva. E allora mi sono un attimino documentato su di lui. Per quel che riguarda Jung, invece la cosa è leggermente differente; è stato effettivamente un personaggio che ho incontrato nella persona della dottoressa che mi ha seguito, che è la dottoressa Franca Carnevale (qui Marika mostra un attimo di commozione), che mi ha aiutato ad uscire per buona parte da quello che è stato un mio problema avuto tra il 2012 e il 2015, proprio durante la fase finale degli Anthologies e la nascita dei Blut, e quindi la creazione dei primi due album.

Copertine di 'Inside My Mind pt.1' (autoprodotto) e 'Inside My Mind pt.2' (prodotto per Sliptrick Records)

La canzone dedicata a Freud, “Sigmund Freud ist mein Nachbar”, ha il testo interamente in tedesco. Pensi che possa essere ben approcciata dall’ascoltatore una lingua di questo tipo? Alessandro: Direi di sì, e nello stesso tempo direi di no. Direi di sì perché abbiamo tutta una serie di esempi, partendo dai Rammstein e passando per gli Oomph!, gli In Extremo, i Subway To Sally, e tutta la scena folk e gothic metal teutonica che, di riffa o di raffa, ci ha propinato una o più canzoni in tedesco. Mi viene in mente anche un banalissimo Sodom che addirittura hanno fatto un EP in tedesco, e presenta come Onkel Tom le canzoni da birraiolo ubriaco in tedesco. Per cui direi che non è così tanto ostica. Sull’utente medio italiano potrebbe esserci un problema. Non è un caso che… e Marika affermami se sto dicendo cavolate…

Marika: Io non lo so il tedesco…

Alessandro: Se ne è parlato per l’uscita del lyric video e Fabio, il nostro bassista, ci ha detto: ‘Forse sarebbe il caso che nella descrizione si mettesse il testo in inglese perché altrimenti uno lo guarda, vede le lettere ma non capisce cosa c’è scritto.’ Vero, lecito. Però mi vien da dire che se vado a vedere una canzone che, per esempio, potrebbe essere “Sonne” fatta dai Rammstein, non ci vedo che mi mettano la traduzione. Riguardo agli Oomph!, ho visto invece che fecero addirittura uscire un album con le loro migliori canzoni ri-cantate in inglese. Però ammetto, conoscendo quelle canzoni in lingua originale, perdono qualcosina, e quindi l’idea era di dargli proprio questa carica un po’ marziale, e non a caso è fatta su di un walzer, su un bellissimo tre quarti (canticchiano il ritmo del walzer) .

Sia dall’ascolto degli album, che nella vostra interpretazione dal vivo, la proposta potrebbe essere etichettabile ad un certo rock-metal vicino allo stile industrial, che può avvicinarsi a quanto fatto, per esempio, dai Theater of Tragedy negli anni 2000, soprattutto in album come ‘Musique’ ed ‘Assembly’. Ti trovi d’accordo con questa visione?  Alessandro: Mi trovo d’accordissimo sul genere. Sul paragone con band come Theatre of Tragedy, lo vedo un po’ stringente. L’idea mia (e ringrazio mille e una volta Marika di supportare quest’idea malata) a livello scenico era un po’ più vicina a gruppi quali Lacrimosa e Blutengel. Anche i Theatre of Tragedy, ma più quelli di fine anni ’90, quelli dei primi album fino a ‘Aégis’. La differenza è che io non ho la bandana in testa e, per ora, non ho un gutturale così marcato come Raymond Rohonyi, il cantante dei Theatre of Tragedy, però ci stiamo studiando sopra, come si suol dire. E l’idea sarebbe comunque quella di essere un po’ più “simili” a Blutengel e Mono Inc. che non ai Theatre of Tragedy. Però ci potrebbe stare.

E quali band attuali possono avvicinarsi come stile a voi oggi? Alessandro: Ci sono un paio di band che sto guardando con rinnovato “curiosismo e favore”, che sono delle band semi-underground come noi, americane, e sto dando un occhio ad un paio di band russe. Sull’ambito teutonico ci potrebbero essere gli Ostfront, di cui sarebbe bello arrivare a… Diciamo che sono un passo avanti a noi. Altre band che potrebbero essere accomunate a noi, se usassimo forse un po’ di suoni mediorientali, potrebbero essere gli Abney Park, che sono un gruppo americano che fa steampunk music nel senso più ampio del termine, inserendo particolarità mediorientali, rimandi anche di fine ‘800, e con un impatto visivo molto simile al nostro.

Copertina del singolo "Jerusalem Calls Me"

Facciamo un passo indietro e torniamo al primo album, che secondo me, è sembrato più sperimentale, come una sorta di cantiere aperto. Alessandro: Peggio, è stato una detonazione del mio cervello.

Marika: È stato un vomitare di idee.

Alessandro: Ci sono delle canzoni che hanno una costruzione sonora che non è logica, o meglio non è umanamente apprezzabile, perché non ripete i riff nello stesso modo e con una continuità comoda per la mente umana. L’esempio più classico e lampante è la versione registrata de “La via di Cappuccetto”, che è una canzone in italiano per dare sfogo anche al mio lato italico, che ha una costruzione del riff del ritornello che è oggettivamente su base quattro battute, mentre il primo, il secondo ed il terzo verso no. Hanno rispettivamente una composizione di cinque battute, di nove battute e di otto battute e mezzo. Ed è una cosa che la gente, oggettivamente, non riesce a comprendere fino in fondo e dà noia, perché non ti porta in un’area di comfort. In aggiunta, ci sono state anche delle situazioni per le quali ho dato i pezzi a Marika e le ho detto di cantarci su. Le ho detto di fare come voleva, dandole carta bianca, perché mi piace come canta, mi piace la sua voce. Devo dire la verità: ho pescato veramente un jolly fotonico in un mazzo di 52 peppatence.

Questo cantiere si è profondamente sviluppato in questo secondo album, risultandolo più organico e solido. In prima battuta ti chiedo se sei soddisfatto del primo album e se ha avuto riscontri positivi da parte degli addetti ai lavori, e che tipo di cambiamenti e sviluppi avete approntato per questo secondo disco? Alessandro: La questione è la seguente: come si dice in napoletano, ‘ogni scarrafone è bello a mamma soia’. Quindi dire che non mi sia piaciuto il primo album sarebbe come ripudiare mio figlio, per cui non si fa, non è una bella cosa. Si poteva fare meglio? Assolutamente sì. Avrei dovuto (Marika: ‘Fermare la testa ed aspettare…’), e più che altro dare più libertà a chi mi diceva: ‘Guarda, forse converrebbe modificare una cosa, o modificare l’altra.’ Lì è entrato il mio spirito crucco che ha detto: ‘No, ho detto così, e così deve essere!’. A livello della critica, ho ricevuto sistematicamente la stroncatura di “La via di Cappuccetto”, che solo a pochissime persone è piaciuta, tra cui il suo moroso e un dj di Torino, che almeno 5-6 volte nell’anno scorso ha fatto girare “La via di Cappuccetto” su Radio Rad, perché ha detto che per lui è bellissimo, è la canzone migliore di tutto l’album.

Ma non è piaciuta neanche a Marika? Marika: No no, io la odio! Me l’ha fatta cantare, ma io la odio! (Alessandro ride) La odio!!! Brrr… raccapriccio.

Alessandro: (continuando con la domanda precedente) Per quello che riguarda le recensioni in genere, direi che abbiamo avuto tutto sommato dei buoni rimandi. A livello di vendite, mi aspettavo qualcosina in più, ma non mi posso lamentare. Per quel che riguarda il secondo album e le modifiche apportate, c’erano delle altre idee perché, di fatto, avevo dodici tracce fatte. Solo che di queste dodici tracce ce n’erano quattro che erano effettivamente non germinali, ma di più, e chi mi stava dando una mano ha detto: ‘Se vuoi far uscire per il 2016 questo album, tu questi quattro brani non li devi neanche calcolare, ma le teniamo pronte per riutilizzarle, con tutto il tempo sacrosanto che ci va, e per pubblicarle nel secondo CD. Piuttosto facciamo un pt.1 e pt.2.’. Quando mi hanno detto questa cosa, mi sono illuminato d’immenso e ho detto: ‘Ci sta.’. Risultato: mentre facevamo le prime vendite senza live del primo CD, abbiamo cominciato a lavorare io e Giulio (Capone, ndr) a questa seconda tornata di canzoni, chiedendo un po’ di più la mano a Marika per le parti femminili e per le parti melodiche, perché lei ha partecipato attivamente alla famosa cena del 29 novembre, in cui ha detto: ‘Il progetto mi piace, ci sto.’.

Marika: No, ho detto: ’Il progetto è talmente malato che ci sto.’

Alessandro: E a quel punto aveva una logica ed un senso non poter limitare la sua voce a semplicemente piccoli cameo, o delle piccole comparsate, e si è dovuta studiare una cosa un po’ più a modo. La seconda cosa che reputo importante e che è stata fatta nell’ambito del secondo album è stata: questi sono i riff, benissimo, ma adesso li smontiamo dall’inizio alla fine, e li rimontiamo in maniera che siano delle canzoni e non siano un’altra esplosione mentale di note, in senso astratto. E quindi mettiamo giù un meccanismo serio e strutturato. Quindi, questo è il motivo per cui il secondo album suona meglio del primo, ed è più maturo.

Frammenti live da Comunità Giovanile - Busto Arsizio (VA), e Drakkarock, Valhalla Pub - Borgo Ticino (NO)

A differenza del primo album, abbiamo una presenza più incisiva di Marika, già voce degli Eternal Silence, e che nei Blut sembra costruire sempre più una parte integrante del progetto. Come si è instaurato il vostro rapporto sia umano, che artistico, con lei? Alessandro: Correva l’anno del Signore 2014 quando ci siamo conosciuti. Tutto è nato al Lido di Arona, quando Marika ha suonato all’Arona Metal Beach.

Marika: Ale faceva l’aiuto fonico, anzi era alle luci. Fondamentalmente l’avevo già visto, ma non ci avevo mai parlato.

Alessandro: E io avevo già recensito il loro primo album (degli Eternal Silence, ndr), ma loro non sapevano che ero io.

Marika: La cosa è stata buffissima perché non ci siamo direttamente parlati. No, la macchina di Alberto, chitarrista e cantante degli Eternal Silence, è rimasta a piedi, nel senso la sua macchina non voleva dare più segni di vita per tornare a casa. Per tornare dove abita lui ci vuole un’ora e quaranta da Arona, quindi era già un uomo disperato. Pioveva, era bagnato dappertutto, una palta infinita… Abbiamo cercato qualcuno che avesse dei cavi, ed ovviamente nessuno aveva dei cavi a portata di mano quando ti servono, finché senti una voce che fa: ‘Vai da quello lì alto che, se mi ricordo bene, dovrebbe essere il cantante degli Anthologies.’. Vado da lui e gli faccio: ‘Scusami, Alessandro. Hai dei cavi per la macchina?’. E così abbiamo conosciuto Schümperlin tra una fanga, un cavo ed uno spintone di macchina. E poi, in realtà, non ci siamo frequentati come conoscenti, salvo incrociarsi qualche volta, ma più che ‘ciao ciao’ niente. Finché poi con il primo album mi chiama Giulio Capone e mi dice: ‘Ascolta, c’è qui Alessandro Schümperlin che sta registrando un album, ed ha bisogno di voci femminili. Hai voglia di fare qualcosa?’. Gli ho detto: ‘Guarda, fammi sapere di che cosa si tratta, perché così a scatola chiusa non so nemmeno se sono in grado di accontentare le sue richieste.’. ‘Ma sì, non ti preoccupare, tu vieni su, bla bla’. Alla fine sono arrivata in studio e ci siamo presentati un po’ meglio e sono stata felicissima perché c’era anche Silvia Sciacca, ex Clothes Of Death, che è una mia amica e ci conosciamo da tantissimo tempo, ed è anche amica sua. E quindi, tra una chiacchiera e l’altra ‘Aaaah facciamo un pezzo insieme! Che bello! L’abbiamo sempre voluto fare!!’ come due bambine all’asilo, da lì è nato tutto. Poi, con la famosa cena, lui ha detto: ‘Chi è dentro e chi è fuori? Chi vuole continuare in questa follia rimanga, e chi no sta a casa’. Per me onestamente è stata una sfida, ed anche una sfiga perché ho questa palla al cazzo (ride ironicamente), ma è stata interessante perché era fuori completamente dai miei schemi e da qualsiasi cosa umana e umanabile. E alla fine siamo qua e mi tocca sopportarlo davvero, tocca sentirlo cinquanta volte al giorno.

Che importanza ha Marika negli equilibri della band? Ha una parte importante nel processo di composizione dei brani? Alessandro: Marika è la persona che riesce a mantenere calma una parte dei miei demoni, perché sono una persona che purtroppo, per i miei trascorsi, ha un livello di pazienza molto basso, e se non ci fosse lei credo che avrei già dato delle pedate veramente a tanta gente. Questo sia dentro che al di fuori della band, perché a un sacco di persone sarei tipo Burzum, nel senso un uomo in gabbia (poi vabbè è uscito pover’uomo, è finito in Francia). Io ho bisogno di lei anche per questo. A livello compositivo mi obbliga (e non lo sa, e adesso lo sa) a dover pensare in maniera differente, perché per evitare di dirle: ‘Oh i pezzi sono questi, arrangiati!’, vorrei riuscire, visto che ha già un’altra band e vorrei tutto sommato non appesantirle la sua situazione, a pensare come poter fare una linea vocale che potrebbe essere fatta da lei e che potrebbe piacerle. Ci sono poi dei momenti in cui gliele canto via WhatsApp e mi prende per il culo ridendo per delle settimane (proprio come in quel momento), e quando ha dei momenti di depressione mi dice: ‘Sì, ogni tanto sento quando mi canti delle canzoncine.’.

Marika: (continuando a ridere) Le canta con quella vocina del cazzo che mi piega…

Alessandro: Un’altra cosa è che mi dà una mano negli arrangiamenti in sala prove, perché tante volte riesce a sentire delle finezze che mi capita di perdere perché sono dietro ad altre situazioni e ad altre valutazioni.

Voi provate sempre al Music Ink di Paruzzaro? Alessandro: Per ora sì, proprio perché per riuscire a fare salire me che arrivo da Novara, l’attuale batterista che arriva da Cassolnovo, il bassista che arriva da Cerano, il chitarrista attuale che arriva da Casalbeltrame, la performer che arriva da Mendrisio e Marika che arriva da Dumenza, a Paruzzaro abbiamo trovato il baricentro che riuscisse a trovare una quadra che accontenti tutti, avendo ciascuno circa un’oretta di tragitto.

Ecco, a proposito del Music Ink di Paruzzaro, un altro vostro collega che si è prodigato in maniera profonda nella stesura delle musiche del secondo album è Giulio Capone. Alessandro: Diciamo che rispetto al precedente lavoro in cui ha semplicemente ed unicamente fatto un lavoro di arrangiamento, in questo ci sono state due canzoni che aveva già composto, ma che non aveva la benché minima idea di dove poterle utilizzare, e mi disse: ‘Ale, io ho fatto questa canzone. Ti può servire? Perché tanto non la farò mai con nessuno dei miei progetti’. Me le fece ascoltare tutte e due e gli dissi: ‘Per una ho già trovato cosa farci perché ho già i testi. Sull’altra dammi il tempo’. Ed è stato questo, ha avuto una parte molto più ampia rispetto al precedente lavoro.

Che impulsi vi dà collaborare con musicisti di questo calibro? Alessandro: Giulio ti fa vedere che tutto sommato hai solo da (diciamola così) inclinare leggermente il foglio (e mi fa vedere il foglio davanti inclinato da lui). Sembra una cosa senza senso, ma per me ha molto senso, cioè riuscire a poter vedere da un’altra prospettiva quello che tu stai facendo. E tutto sommato una cosa che poteva sembrare assurda e fuori da ogni logica,  quando poi ti dice: ‘Guarda che se fai questo, questo e quest’altro ci arrivi lo stesso’. E tu guardi e dici ‘Porca puttana, è vero!’.

Avete avuto in mente di assoldare lui nelle vostre esibizioni dal vivo, quanto meno in futuro? Alessandro: Gliel’avevamo chiesto al nostro esordio perché eravamo senza batterista, solo che lui era sempre un po’ impegnato. Lui ci ha dato una mano per cercare Davide De Carli che ci ha, di fatto, dato una mano nella prima data live, e poi di fatto ci ha seguito per un periodo anche per alcune dritte legate al discorso di come approcciarsi verso un’etichetta discografica, perché dopo avermi dato un paio di dritte ho poi fatto con le manine mie.

Avete avuto in mente di tradurre e trasportare la vostra idea musicale in un contesto teatrale, costruendo una storia che riassuma le tematiche dell’analisi della psiche umana in salsa metal? Marika: Noi come Blut siamo me, Alessandro e Valentina, la performer. Gli altri personaggi sono, per ora, dei turnisti, se possiamo definirli tali, perché di fatto non sono nel nucleo centrale. L’organico si riduce quindi a noi tre, e ci siamo soffermati (soprattutto io e Ale perché è più facile vederci, anche solo per telefono) sul fatto di strutturare il tutto con un teatro, come si può vedere ad esempio nel video di “Jerusalem Calls Me” che è stato girato in un teatro. L’idea era di fare un release party di ‘Inside My Mind pt.2’ in questo modo, e cioè avere proprio la platea come se fosse una semplice rappresentazione teatrale, riportando in realtà quella che è la figura del dottore (Alessandro) che illustri al popolo quello che è Blut. Si voleva fare questa rappresentazione recitata, cantata, animata, ballata, ma per ora non c’è ancora stato possibile, non abbiamo ancora trovato la quadra per poterla fare.

Ma quindi la storia è già costruita? Alessandro e Marika: Un canovaccio c’è nelle nostre teste, ma non è ancora steso nulla. Alla fine il release party lo abbiamo fatto all’EstaBì?! di Ornavasso.

Marika: L’abbiamo fatto lì perché non si è riusciti a mettere in atto la nostra idea, ma rimane un’idea che si vuole attuare. Quindi ci sarà qualcosa. Dobbiamo finire di inserire tutti i pezzi del puzzle. Ma sicuramente c’è una storia, le musiche saranno suonate direttamente e non registrate, ci sarà sia la nostra recitazione, sia le performance di Valentina, ma vorremmo avere di più. Vorremmo avere più persone, più ballerini, magari anche attori. È per quello che non era fattibile in tempi brevi, perché si devono trovare le persone che si vogliano unire a questo esperimento, a questa cosa che se sarà apprezzata in primis da noi, e poi dal pubblico, verrà rifatta più volte in base agli spazi che riusciremo a trovare.

Valentina Carlone è esclusivamente una performer, o dà anche idee e pareri musicali? Marika: Valentina dà anche input musicali nel senso che lei e Alessandro sono più simili come gusti musicali, io invece sono quella diversa. Valentina dà i suoi pareri ed aiuta a modo suo. Non scrive perché non ha la capacità di scrivere dei brani o dei testi. Però dà pareri e rimandi assolutamente importantissimi.

Alessandro: La cosa interessante è che io e Marika diamo solo un paio di indicazioni a lei, dato che Valentina ha creato tutti i camei che poi si vedono sul palco, e li ha creati di suo, non avendole mai detto: ‘Tu devi fare così, devi muoverti così, devi alzare il braccio in questo modo, devi accoltellare Marika in questo modo…’.

Sì, diciamo che voi avete una parte musicale, mentre Valentina ha una parte più scenografica e coreografica. Marika: All’inizio lei era un po’ agitata, aveva dei dubbi sulla difficoltà ad esprimersi ed a rappresentarsi bene. Noi ne abbiamo parlato tranquillamente, facendo un brainstorming che ha portato a quello che è lo show che crea Valentina che è in continua crescita ed in continuo cambiamento, tant’è che noi rimaniamo spaesati su alcuni movimenti che prima non faceva e che ora fa all’improvviso.

Oltre a portare in teatro ‘Inside My Mind’, avete altri progetti interessanti in mente?  Marika: Sicuramente…l’estero!!!

Alessandro: Esatto, l’idea attuale è quella di riuscire a mettere un piede aldilà delle Alpi e farci un attimino sentire. Anche perché, tutto sommato, parlandone con Marika ho avuto i rimandi di quest’ultimo bimestre luglio-agosto per quel che riguarda gli streaming della nostra produzione, e pare che stiano cominciando a spuntare ‘genti diverse e non venuti dall’Est’ come cantava De Andrè, ma venuti dal Nord che si stanno interessando a noi, nel senso che stanno cominciando a moltiplicarsi gli streaming dalla Norvegia, dalla Germania, dalla Svizzera, dall’Austria, e qualcosina anche da Belgio e Olanda. Quindi sarebbe bello riuscire ad andare di lì fisicamente.

Per concludere, ultimissima richiesta: un vostro invito verso l’ascoltatore generale ad avvicinarsi al vostro progetto. Marika: Se volete sentire qualcosa di diverso, qualcosa di particolare e di non scontato, forse è il caso di dare un ascolto a Blut. Magari vi fa schifo, perché può benissimo essere; magari vi piace in parte, o magari vi piace tutto, e poi ne volete ancora… Potrebbe essere una nuova droga, non sintetica. Magari è una cazzata, ma bisogna provarlo, perché non puoi sapere se ti piace o no.

Alessandro: Io riprendo le parole che usò uno dei primi che recensì il primo album, che disse che noi di fatto eravamo una specie di ‘break even’: o piacciamo da morire, o facciamo vomitare i morti. La cosa interessante è finché non ci hai provato non sai né se vomiti (e quindi sei morto…), oppure se ti piacciamo alla follia. Quindi la logica è di provare assolutamente. E poi l’altra cosa è di guardarci live, perché un’altra cosa che non tutti sanno è che quello che facciamo da live non è esattamente quello che si trova sul CD.

Marika: (con fare ammiccante) Mmm… provami, provami…

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