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LOST MOON: KING OF DOGS

data

07/04/2008
77


Genere: Stoner
Etichetta: Uk Division Records
Anno: 2007

Il cielo, gli oceani, la terra, il vento, tutto partecipa all'ampio respiro del secondo album della band campana Lost Moon, che sin dal nome risuona nei paesaggi boschivi notturni, come il vento che smuove gli alberi e la tempesta che squarcia il cielo, come quella feroce apertura affidata alla martellante e ipnotica "Storm" che già mette in chiaro tutte le ambiziose intenzioni della band: Forgiare un suono allo stesso tempo psichedelico e settantiano, come nella migliore tradizione stoner, ma senza dare la sensazione di avere tra le mani un mero culto del passato, anzi, proponendosi come degli innovatori, perchè inerpretare questa attitudine acida e mistica con importanti e personali particolarità è già segno di originalità, che risiede innanzitutto nell'uso abbondante di percussioni, che rende l'insieme della proposta dei Lost Moon come una versione tribale e mediterranea dei primi Monster Magnet (ma non solo). Come la stessa band ammette, un album come 'Primitive' dei Soulfly non è stato per loro meno importante degli storici '25....Tab' dei Monster Magnet e 'Sabbath Bloodt Sabbath' dei Black Sabbath, proprio per quell'idea di fondo che sta nella commistione tra tribalismo e trip sonoro. "Going To Neptune" è un pezzo da panico, nel senso che si avverte un tale senso dell'assoluto che è come sentire la vertigine dell'uomo che scala la montagna e guarda tutto il panorama davanti a se, ci si sente mancare, l'aria è rarefatta, e l'ossigeno sfugge. Forse è questa la sensazione del viaggio spaziale, infondo lo spazio è profondo ed i Lost Moon lo conoscono bene, il loro è uno slancio vitale verso l'oscurità, quasi a voler toccare la luna, e accarezzarla. Come per i maestri Hawkwind il viaggio è simbolo della liberazione, della fuga verso un altro mondo (vero o artificiale non si sa), che poi è un tema molto caro alla band, come si vede nella furiosa title track (dotata di una parte di basso che mi fa commuovere di gioia) che sembra parafrasare la fattoria degli animali di James Orwell. Hendrix viene preso e resuscitato per l'occasione, per prestare la sua anima ad un voodoo lungo nove brani, ma sembra anche di sentire anche The Edge e in generale gli U2 di 'Joshua Tree', specie nella calda "Return To", un caldo viaggio tra strane visioni e suoni liquidi. Fluttuare liberi, in alto, baciare il cielo, plasmare la musica dalle forme più claustrofobiche per trarne una sottile e plastica melodia, che poi si risolve in una coda acustica in "Floating High" (cantata da applausi e senza mai fare il verso a nessuno, che significa applausi doppi), sempre tra nubi di sudore, solos entusiasmanti, e ritmiche balorde all'ultimo respiro, spesso tutt'altro che retrò, anzi gommose e cool nella bellissima "Until The Stars Are Falling Down", la prova che si tratta di un album moderno e originale, capace di confermare la regola che stoner non significa per forza musica stantia e vecchia. Probabilmente il meglio lo si trova nella spettacolare jam perversa di "Nature In Black" che non ha nulla da invidiare ai 35007 degli esordi, sottolineando proprio quella loro componente heavy metal (e rafforzandola, ripulendola, e sparando assoli al fulmicotone e riffoni che franano a destra e a manca) e aggiungendo quel tribalismo selvaggio che già da ora è un marchio di fabbrica e un'arma vincente per i Lost Moon. Un applauso.

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